IL GRANDE LIBRO: IL CONTESTO STORICO E I LUOGHI

padre Michele Piccirillo, Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme


1. Una lettura "materiale" della Bibbia

Bibbia Esistono molti modi per accostarsi alla Bibbia e per ricavarne il messaggio; oggi vi parlerò di un modo tutto particolare: è quello di chi, come me, svolge la professione di geografo – archeologo.
Secondo il punto di vista di chi si occupa di queste discipline, la Bibbia è un libro dell'antichità di cui si può dare una "lettura materiale", che accantona per un momento il racconto e dà la priorità allo studio dei luoghi e dei fatti storici: la raccolta dei dati inerenti luoghi e fatti permetterà poi di intendere con maggiore esattezza il significato del testo biblico.
Il testo biblico può essere studiato come storia della salvezza, ma anche come "storia", e la storia per essere tale deve essere legata a un territorio e a tempi precisi. Certamente questa è la parte iniziale del discorso biblico, sul quale poi l'esegeta lavorerà per capire correttamente il testo.
Se da cent'anni a questa parte possiamo disporre di strumenti molto raffinati per penetrare nella Bibbia, dobbiamo proprio ringraziare il lavoro degli archeologi; l'inizio della ricerca archeologica in Mesopotamia, Egitto, e nella stessa Terra Santa, ha portato veramente una grossa novità nella conoscenza del mondo della Bibbia e dello stesso testo biblico.
Parleremo dunque della dimensione geografica e storica della Bibbia, individuando le fonti archeologiche e documentarie che ci permettono di ricostruire il messaggio di salvezza di cui il popolo d'Israele è portatore per l'umanità intera. Da Abramo, a Davide, a Gesù, l'opera di Dio si svolge in questa terra prima di diventare il lieto messaggio, l'evangelo annunciato ai popoli del mondo.

2. L'orizzonte geografico che fa da sfondo al racconto biblico

L'orizzonte geografico che fa da sfondo al racconto biblico, letterariamente e ideologicamente formulato sul regno di Davide, è l'area siro-palestinese, una regione geograficamente stretta tra il deserto e il mare, corridoio di passaggio tra l'Asia e l'Africa, tra l'Oceano Indiano e il Mediterraneo, situata tra il 27° e il 36° grado di latitudine nord, e il 33° e il 39° grado di longitudine est.
Politicamente oggi tale territorio è diviso tra la Repubblica Araba di Siria, il Libano, il Regno Hashemita di Giordania, lo Stato di Israele, i Territori dell'Autonomia Palestinese, e la penisola di Sinai, territorio della Repubblica Araba d'Egitto.

La Siria-Palestina si configura grosso modo come un altopiano chiuso tra le montagne dell'Amano, a nord di Antiochia, e la valle del fiume Eufrate, a est, e il deserto arabico e il mar Rosso, a sud. Una fascia di terra morfologicamente movimentata che, prima di affacciarsi sul mare Mediterraneo, è interrotta in longitudine dalla fossa siro-giordana, e tagliata in latitudine da profondi e scoscesi wadi nel sud palestinese.
Il territorio abitato e coltivato può essere diviso in due bacini fluviali. Il bacino settentrionale, con centro a Baalbek, nella Beqaa (o conca) libanese, dove hanno origine il fiume Oronte che scorre verso il nord e il fiume Litani che scorre verso il sud, e il bacino meridionale che comprende la parte della depressione siro-giordana dove scorre il fiume Giordano, più il mar Morto e la valle dell'Araba, fino al mar Rosso. L'Oronte, che verso il nord scorre tra le montagne Alawat a ovest e le pendici delle colline che chiudono la regione intorno ad Aleppo, irriga la piana di Homs, di Hama, di Apamea e di Antiochia, formando sul mare il porto di Seleucia. Nell'alta valle dell'Eufrate, confine naturale della Siria settentrionale, sorsero nell'antichità le città di Karkemish e di Mari.
L'area centrale del territorio siro-libanese, fino alla valle del Litani, comprende la montagna del Libano e dell'Antilibano più il monte Ermon, separati dalla Beqaa. Il fiume Barada, che scende a irrigare l'oasi di Damasco, separa la catena dell'Antilibano dal monte Ermon. Sulla costa siro-libanese si svilupparono città portuali importanti come Ugarit, Arrvad, Tripoli, Sumur, Biblos, Sidone, Tiro e Acco.
Dalle pendici del monte Ermon nasce il fiume Giordano che, dopo aver attraversato la valle di Hule e il lago di Tiberiade, termina nel mar Morto, aprendosi il percorso tortuoso nelle collinette marnose del Ghor (o depressione), nome con il quale è conosciuta dagli Arabi la valle del Giordano e del mar Morto. Il territorio, ad est e ad ovest della fossa giordanica, due aree geologicamente simili, costituisce la regione meridionale della Siria – Palestina. L'altopiano del Golan, chiuso a sud dalla valle dello Yarmuk, fronteggia a est la montagna della Galilea, interrotta a nord dal corso del fiume Litani, e a sud dalla pianura di Esdrelon. Il Jebel Ajlun, sulla sponda settentrionale del wadi Yabbok o Zerqa, fronteggia la montagna di Efraim o di Samaria divisa in due dal wadi Faria. L'altopiano di Madaba, tra Amman e il wadi Mujib-Arnon (la Belqa dei geografi arabi), fronteggia il deserto e la montagna di Giuda. L'altopiano di Moab e le montagne di Edom (la Shara dei geografi arabi), dallo Zered-Hesa al mar Rosso, fronteggiano il Negev palestinese.
Sulla costa palestinese, poco adatta all'attività portuale, la montagna del Carmelo divide la pianura di Acco, chiusa a nord dal capo di Ras en-Naqura, dalla pianura di Sharon con i porti di Dor e di Cesarea sul mare. A sud del fiume Yarkon, fino al Nahal Besor (o wadi Ghazzeh) si estende la pianura della Filistea, con le città portuali di Joppa, Ascalon e Gaza. Nell'interno, stretta tra le montagne della Galilea, il Carmelo e le montagne di Samaria, si estende la pianura di Esdrelon, con le città di Megiddo, Yoqneam e Taannak. Nella depressione giordanica si allarga la pianura di Bet Shean irrigata dalle acque del Nahal harod che sgorgano dalle pendici del monte Gelboe.

Di fronte, sulla sponda orientale del fiume, si sviluppò nell'antichità la città di Phail-Pella. Più in basso, ai piedi della montagna di Giudea, una sorgente perenne dà vita all'oasi di Gerico. Altre sorgenti danno vita, sulla sponda occidentale del mar Morto, all'oasi di En Gheddi. Tra le altre città della regione di notevole importanza storica, dobbiamo ricordare Dan, alle sorgenti del Giordano, Hazor sul margine occidentale della piana acquitrinosa di Hule, Kadesh di Neftali, sulla montagna galilaica, Sichem e Samaria nel cuore della montagna di Efraim, Gerusalemme e Ebron sulla montagna di Giuda, Gezer nella zona collinosa o Shefela, Beersheba nel Negev, e Elat sulla sponda del mar Rosso.
Le difficoltà ambientali, quali la mancanza di precipitazioni e di sorgenti, e la povertà del suolo, che aumentano man mano che ci si spinge verso est e si scende verso sud, riducono l'area coltivabile e abitabile, in condizioni normali di vita sedentaria, a una fascia profonda un centinaio di chilometri, al margine della steppa e del deserto, che hanno un posto preponderante nel quadro naturale del territorio siro-palestinese. Non si tratta del deserto di sabbia, presente solo in parte nella penisola sinaitica, ma di un terreno arido per mancanza di acqua, che può essere vivificato durante la stagione delle piogge, e produrre non solo vegetazione spontanea, pascolo delle greggi, ma anche cereali seminati dai beduini seminomadi che si cambiano per l'occasione in agricoltori. Con il deserto arabico, che progressivamente cede il posto alla steppa dell'altopiano siriano, in area palestinese ricordiamo il deserto di Giudea, sul versante orientale della montagna di Giuda e di Efraim, che delimita a ovest la valle del Giordano e la sponda occidentale del mar Morto, che continua a sud nel Negev.
All'estremo limite della regione, si estende il cuneo della penisola sinaitica lanciato nelle acque del mar Rosso, tra il golfo di Suez e il golfo di Aqaba, che con il massiccio granitico meridionale si alza oltre i 2000 metri. Gran parte delle piogge torrenziali che si abbattono sull'altopiano centrale della penisola trovano la loro strada verso il Mediterraneo raccogliendosi nell'immenso bacino del wadi-el-Arish, confine naturale e storico tra la Siria-Palestina e l'Egitto.

Bibbia 3. La Terra promessa ai padri

"E una terra buona, terra con torrenti e sorgenti che scaturiscono dagli abissi nelle valli e sulle montagne, terra di frumento, orzo, viti, fichi e melograni, terra di oliveti e miele... La terra in cui entrate in possesso è una terra di monti e di valli che si abbevera dell'acque e della pioggia del cielo, una terra di cui ha cura Yahweh tuo Dio (Dt 8, 7-9; 11,10-15)
Ad Abramo, capostipite della nazione, Dio disse: "Esci dalla tua terra... verso la terra che ti indicherò. Io farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome, che diverrà una benedizione. Benedirò coloro che benediranno e maledirò coloro che ti malediranno. In te si diranno benedette tutte le tribù della terra " (Gn 12, 1-3).

Abramo "si incamminò verso la terra di Canaan, dove ancora una volta Dio gli apparve per dirgli: Alla tua discendenza io darò questa terra" (Gn 12, 7). Promessa sanzionata da una alleanza: "Alla tua discendenza io do questo paese, dal torrente d'Egitto fino al grande fiume, il fiume Eufrate" (Gn 15, 18).
Il nome Canaan ci dà dunque una chiave di lettura per intendere gli eventi che si snodano lungo la Bibbia per millenni; a partire dalla storia di Abramo che risale all'incirca al XX sec. a.C.
Con il termine tardivo di "oltre il fiume", equivalente del Canaan, nella geografia teologica biblica il regno davidico-salomonico viene presentato come la realizzazione storica della promessa fatta ad Abramo, ripetuta ai patriarchi e, per ultimo, a Mosè: "Va', di' ai figli di Israele: Io sono Dio. Vi farò uscire dall'oppressione degli Egiziani.... vi assumerò come mio popolo e sarò il vostro Dio... vi introdurrò nella terra che ho giurato ... di dare ad Abramo, a Isacco e Giacobbe: la darò a voi in proprietà (Es 5, 6-8).
Ma è in Davide, l'Unto del Signore, il re secondo il cuore di Dio, che confluirono le tradizioni e le speranze delle tribù di Giuda e di Israele, così da costituire il nucleo storico e familiare del suo regno. Il patrimonio tribale comune, sul quale si sviluppò la nuova nazione erede di tradizioni diverse e spesso parallele delle singole tribù, confluì in una visione storico-teologica unitaria che ebbe nell'espressione geografica della Terra promessa ai padri e conquistata da Davide un supporto ideologico definitivo e programmatico.
Da fuggiasco nel deserto di Giuda, al tempo di Saul, a capobanda di scontenti e vassallo del re filisteo di Gat, Davide divenne re di Giuda e delle tribù meridionali del Negev da lui beneficate: "Vennero gli uomini di Giuda e là (nella città di Ebron) unsero Davide re della casa di Giuda (2 Sam 2, 1-4; 1 Sam 30, 26-31). La successiva adesione della tribù di Beniamino e delle tribù di Israele, presenti nel nord del paese, sulla montagna di Efraim, sulla montagna di Neftali e a est del Giordano (2 Sam 5, 1-5) che inizialmente parteggiavano per Saul e i suoi discendenti (2 Sam 5, 2-9), rese possibile la sottomissione delle città cananee, l'elemento sedentario nella regione accanto all'elemento tribale semi-nomade in via di sedentarizzazione, e l'unificazione del territorio.
Davide è il nuovo Abramo che realizza la promessa di Dio; a lui, giunto al massimo della sua potenza, Dio promise: "Ti farò un nome grande come il nome dei grandi della terra. Fisserò un luogo al mio popolo Israele e ve lo stabilirò ... Te poi Dio farà grande" (2 Sam 7,9-11).
Di Salomone, figlio di Davide, si dirà che "regnava su tutti i regni, dal fiume fino al paese dei Filistei e al confine d'Egitto. Egli infatti dominava su tutto il paese oltre il fiume, da Tipsa fino a Gaza su tutti i re oltre il fiume, mentre tutt'intorno ai suoi confini c'era pace "( 1 Re 5, 1-4).
"In seguito, tutti gli anziani di Israele vennero dal re a Ebron: il re Davide strinse con loro un patto a Ebron al cospetto di Dio ed essi unsero Davide re d'Israele. Davide a Ebron regnò su Giuda ... a Gerusalemme regnò su tutto Israele e su Giuda" (2 Sam 5, 1-5)

Con la terminologia usata (Giuda... Israele... tutto Israele) il redattore ha voluto evidenziare il passaggio graduale della regalità davidica che raggiunge il suo vertice ideale quando Davide diventa re di Gerusalemme, città posta strategicamente sullo spartiacque della montagna, al crocevia di strade importanti. La cittadella reale di Sion, politicamente neutrale, perché al di fuori dei blocchi tribali del sud e del nord, con il suo tempio, divenuto santuario del regno e della dinastia, resterà così legata al futuro della discendenza di Davide.
I rapporti di amicizia e di alleanza con i Fenici (2 Sam 5, 11), e i re di Hama e di Geshur (2 Sam 3,3; 8, 9-10), al nord, e le pesanti sconfitte con le quali sottomise a tributo i Filistei della costa palestinese, gli Aramei, gli Ammoniti, i Moabiti, e gli Edomiti sul confine orientale (2 Sam 8, 1-14), più che aggiungere nuovi territori, frutto di una politica espansionistica a danno di popoli considerati e rispettati come discendenti di padri comuni, significarono controllo dei confini e sicurezza politica ed economica per tutto Israele.
Il territorio sul quale si trovò a regnare Davide è descritto sinteticamente con l'espressione "da Dan a Beersheba" (2 Sam 3, 10), e più in dettaglio dalla descrizione dell'itinerario seguito dai funzionari reali durante il censimento del regno: "Girate per tutte le tribù di Israele da Dan a Beersheba e passate in rassegna la popolazione, così che io possa saperne il numero". Joab e i suoi uomini "passarono il Giordano e si accamparono ad Aroer ... poi proseguirono per Gad fino a Jazer. Giunsero poi in Galaad e nella regione sottostante all'Ermon, andarono a Dan e da Dan piegarono verso Sidone. Vennero alla fortezza di Tiroe a tutte le città degli Ivvei e dei Cananei. Infine uscirono al Negev di Giuda, a Beersheba. Girarono dunque tutto il paese, e tornarono a Gerusalemme (2 Sam 24, 2.5-8).
Questo territorio se non durante il regno di Davide (come farebbe supporre 1 Cr 27), certamente al tempo di Salomone, fu diviso in dodici distretti amministrativi, comprendenti il territorio tribale e le città cananee sottomesse (2 Sam 4,7-19).
Dal confronto tra l'estensione di tale territorio reale, confermata da tutta la storia seguente del popolo di Israele, e la doppia serie di testi che presentano il regno davidico-salomnico come realizzazione della promessa fatta ai Padri e perciò come il Canaan, risulta chiara la natura teologico-letteraria dello schema storico-geografico adottato dagli autori biblici nel racconto della storia della salvezza.

4. L'identificazione dei luoghi biblici: le fonti antiche extra bibliche

Nell'Antico Testamento le località importanti citate sono intorno a 600 nomi; finora ne sono state identificate soltanto 200; con buona approssimazione ne possiamo individuare altre 200, ma il resto è completamente sconosciuto.
A questo proposito apro una parentesi: anche oggi vengono pubblicati molti atlanti biblici, dove è possibile trovare la collocazione di tutti i nomi di località citati nel Testo sacro, e questo fa molto comodo a chi vuol leggere con competenza la Bibbia. Purtroppo però molte di quelle indicazioni non sono attendibili; di gran parte di quei nomi, infatti, non esistono a tutt'oggi identificazioni certe, ma possiamo dire solo con molta approssimazione dove potevano trovarsi.
Gli archeologi e i geografi stanno cercando di imporre la collocazione almeno di un punto interrogativo accanto ai nomi delle località sconosciute che invece vengono indicate negli atlanti biblici come identificate con certezza.
Di grande aiuto per dare una precisa collocazione territoriale e geografica ai tanti nomi di località che troviamo nella Bibbia è l'"Onomasticon dei luoghi biblici", un'opera del vescovo Eusebio di Cesarea, del III secolo d. C.
Eusebio di Cesarea raccolse tutti i nomi di località del testo biblico e cercò di identificare le singole località a livello geografico. Sono quasi novecento nomi, presi però dal testo greco, non ebraico, ma soltanto per quattrocento di essi dice "oggi sono", cioè corrispondono a un certo villaggio che conosciamo oggi, e li localizza. Al suo tempo Tolomeo aveva già usato i concetti di latitudine e di longitudine, ma Eusebio di Cesarea non li utilizza, preferendo alla geografia matematica quella descrittiva.
Se consideriamo, per esempio, il termina Nebo, località dalla quale Mosè, prima di morire, volle dare uno sguardo alla Terra promessa, l'"Onomasticon" lo cita almeno tre volte come montagna, città, fortezza e lo localizza a sud di Esfan, a nord est di Madaba, al sesto miglio di strada. Certamente è un'indicazione molto vaga, ma per noi è un primo tentativo di quel lavoro scientifico che deve porsi alla base della conoscenza del testo biblico.
Per ricavare in modo scientifico i dati che ci interessano, a proposito dei luoghi citati dalla Bibbia, occorre partire da lontano, dalla conoscenza che di quel territorio avevano i popoli vicini, all'epoca in cui si svolsero i fatti narrati nella Bibbia.
La Siria – Palestina, la zona geografica che noi consideriamo terra biblica, si trova tra la Mesopotamia (l'attuale Iraq), e la valle d'Egitto ed è quindi naturale che questa terra si trovi spesso citata in testi scritti egiziani e mesopotamici.
I beduini del deserto sinaitico, a sud, e quelli della steppa siriaca, a nord, che premevano come una minaccia sulla frontiera orientale dell'Egitto e sul confine occidentale mesopotamico, nei documenti più antichi caratterizzano gli abitanti della Siria – Palestina. La penisola sinaitica, per la sua vicinanza al confine egiziano, è con i suoi abitanti la prima regione a essere ricordata. Sull'entrata delle miniere di rame e di turchese di Mughara, aperte al tempo dei primi faraoni egiziani nella regione mineraria della costa occidentale della penisola, furono scolpiti dei bassorilievi che rappresentano il faraone che colpisce a morte un siriano nomade, un Harw Shashu (un Hurrita di quelli che camminano sulla sabbia), titolo spregiativo che accompagnerà nei testi egiziani posteriori le popolazioni della Siria – Palestina. Gli Shashu, i beduini, erano trattati dagli Egiziani con molto disprezzo perché non avevano né casa né un posto fisso per pregare, né tombe (e si sa quanto gli Egiziani tenevano alle tombe: i beduini invece mettevano i morti in pelli di animali e li seppellivano nella sabbia).
La prima descrizione della montagna palestinese caratterizzata da città fortificate, da fichi e vigneti, la dà il racconto di una spedizione militare condotta vittoriosamente dall'ufficiale Uni al tempo del faraone Pepi I (2375 – 2350 a. C.): "Quando sua Maestà attaccò gli Asiatici nomadi – si legge sulle pareti della tomba di Uni – Sua Maestà formò un esercito di molte decine di migliaia e mi inviò alla testa di tale esercito ... Tornò l'esercito in pace, dopo aver distrutto la terra dei nomadi ... tornò l'esercito in pace dopo che aveva saccheggiato e distrutto le fortificazioni dei nomadi ... dopo che aveva tagliato i suoi fichi e le sue viti ... dopo che aveva appiccato il fuoco alle case di quella gente".
L'asprezza e le difficoltà della regione orientale, contrapposta alla valle del Nilo piana e ricca di acqua, è uno dei temi di un testo politico – militare della fine del III millenio. Kheti II, presunto autore dell'insegnamento al figlio Merikara, tra le imprese più significative ricorda il rafforzamento della frontiera orientale dell'Egitto contro i nomadi asiatici che abitano una zona impraticabile, montagnosa e priva di acqua. "... E' cattivo il luogo dove abitano, povero d'acqua, impraticabile a causa dei numerosi alberi, con strada impossibili a causa dei monti.... Non abita in un solo posto, ma i suoi piedi vagano e camminano. Combatte fin dal tempo di Horo, ma non vince e non è sconfitto.. Non comunica il giorno del combattimento, come un ladrone cacciato dalle truppe regolari..." Storicamente il testo è notevole anche per il ricordo della Strada di Horo che conduceva verso oriente, difesa da un sistema di fortini, i Muri del Principe, ricordati in altri testi contemporanei.
Mentre gli Egiziani si difendevano contro i Shashu a oriente, i re mesopotamici prendevano analoghi provvedimenti contro i popoli di Amurru (gli Amorrei, letteralmente "occidentali", abitanti nella Siria settentrionale, a occidente della Mesopotamia) che tentavano di invadere la pianura tra il Tigri e l'Eufrate. Di Shu Sin, re della III dinastia di Ur (1977 – 1968 a. C.), le cronache ricordano come respinse le orde amorreee e costruì un muro di difesa: "Anno in cui Shu Sin costruì il muro di Amurru Muriq Tidnim (che tiene lontano gli Amorrei)". Le descrizioni che gli scribi mesopotamici danno dei nomadi amorrei gareggiano con i titoli ingiuriosi dei colleghi egiziani. Gli Amorrei sono nomadi che non conoscono casa, montanari che non conoscono città, che non piegano le ginocchia (che non pregano), che mangiano carne cruda, che "durante la vita non hanno casa, che dopo la morte non hanno sepoltura".
Per l'epoca precedente, la Cronaca di Sargon e altri documenti mesopotamici ricordano come il re Sargon, fondatore della dinastia di Akkad (2370 – 2190 a. C), e dopo di lui Naram Sin conquistarono la regione di Amurru con le città di Mari, di Iarmuti e di Ebla, fino alla foresta dei cedri (il Libano) e alle montagne di argento (Amano e Tauro), dal mare superiore al mare inferiore (dal Mediterraneo al Golfo Persico).
La descrizione più pittoresca, esatta e umanamente cordiale del mondo siro -palestinese, la si legge nella storia di Sinuhe, un'opera di propaganda lealista in favore del nuovo ordine instaurato in Egitto da Amenemhet I (1991 – 1962 a. C.). In un tempo di torbidi politici che precedettero la restaurazione della XVII dinastia, un funzionario egiziano, Sinuhe, cerca rifugio in Asia. Il racconto è in prima persona. All'annuncio della morte del faraone, Sinuhe, fuori di sé, si dà alla fuga dirigendosi verso oriente: "Toccai i Muri del Principe, fatti per tenere lontani gli Asiatici e schiacciare i nomadi... Camminai di notte ... mi prese un assalto di sete, ero riarso e la mia gola era secca, allora dissi: Questo è il gusto della morte. Mi risollevai il cuore e riunii le mie membra quando udii la voce del muggito di armenti e scorsi degli Asiatici. Il loro capo che era stato in Egitto mi riconobbe, mi dette dell'acqua, mi cosse del latte e andai con lui nella sua tribù.... Mi diressi a Biblos e mi avvicinai a Qedem... Mi fece scegliere nel suo paese del meglio che possedesse sul confine con un altro paese. Era una bella terra, Yaa era il suo nome: vi erano fichi e uva, il vino era più abbondante dell'acqua. Molto era il suo miele, abbondante il suo olio, ogni specie di frutti era sui suoi alberi. C'era orzo e frumento e bestiame di ogni tipo, senza numero ... e latte in tutto ciò che si cuoceva". E' una descrizione che trova paralleli nelle più belle pagine della Bibbia (Os 14,6ss).
A partire dal II millennio a.C. i rapporti tra i due popoli si erano fatti sempre più intensi e tesi. I Testi di Esecrazione, datati al XIX sec. a.C., ne danno una testimonianza drammatica. Consistono in una doppia serie di testi tracciati su coppe e statuette di terracotta in forma di prigionieri, che furono rotte in un gesto di maledizione, forse prima di una spedizione militare. Vi si leggono i nomi di città della Siria – Palestina, come Gerusalemme, Sichem, Pahil-Pella, Hazor, Laish-Dan, Acco, Jibeil-Biblos; i nomi di tribù o popoli come gli Shutu ("figli di Set" di Num 24, 17?), considerati nemici dell'Egitto. Malgrado le difese, gli Asiatici riuscirono a sfondare il Muro del Principe e a occupare il Delta egiziano, restandovi padroni per almeno tre secoli (durante il periodo degli Hyksos, dal XVIII al XVI sec. a.C.), finché la resistenza egiziana, rafforzatasi a Tebe nell'alto Egitto, non riuscì con i faraoni della XVIII dinastia a ricacciarli oltre confine. Sotto la spinta della guerra di liberazione, l'armata faraonica occupò stabilmente la Siria – Palestina che per secoli restò la provincia orientale dell'impero, il Canaan, nome originato dalla costa dove si produceva e si lavorava la porpora (da kinahhu, rosso porpora nei documenti hurriti di Nuzi, al Canaan, come in greco, da foenix, rosso porpora, la Fenicia).
Altri documenti molto importanti sono delle tavolette trovate nella città di Mari e risalenti al 1700 a. C. Sono scritte in accadico, che era la lingua internazionale di quell'epoca. In quel tempo la Siria aveva conquistato la città di Mari, di cui era diventato governatore il fratello del re di Assiria; in Mari risiedevano quindi truppe e ufficiali dell'esercito assiro. Tra le tavolette di Mari abbiamo trovato un dispaccio di un ufficiale che informa i suoi superiori sul comportamento dell'esercito dei "Cananei".
Sappiamo perciò che nel 1700 a.C. questo territorio era chiamato Canaan, o almeno che i suoi abitanti erano chiamati Cananei.
Nel 1500 a. C. abbiamo la testimonianza di un re di Alalak, un'altra città della Siria settentrionale, vicino ad Aleppo, la cui statua, che attualmente si trova a Parigi, al Louvre, reca una singolare scritta di autocelebrazione. In questa scritta, collocata sul petto della statua, si dice che il nome del personaggio è Itrimi, di Alalak, figlio del re di questa città, ma costretto a fuggire con la sua famiglia per una congiura. Mentre i suoi fratelli si erano fermati ad Aleppo, egli era riuscito col tempo a formare un esercito e a riconquistare la città. Per indicare il territorio intorno ad Aleppo, dove era vissuto, viene usata la parola Canaan: siamo sull'Eufrate, nel nord della Siria, molto lontano da quella che noi conosciamo come Palestina.
Con l'avanzata vittoriosa dell'esercito egiziano verso oriente, diligentemente registrata, stazione per stazione, dagli scribi guida, siamo in grado di tracciare l'itinerario di marcia seguito dal faraone Tutmosis III e dai suoi successori. Da Sile, la fortezza di confine sulla strada di Horo, l'esercito seguiva il tracciato della strada che resterà anche per i secoli futuri l'asse principale di viabilità tra il nord e il sud. Da Sile la strada proseguiva per Rafia e giungeva a Gaza. Costeggiando il mare, ma evitando le dune di sabbia della costa palestinese, proseguiva per Ashdod, Ascalon e Joppa, dove deviava verso la montagna di Samaria per evitare il passaggio del fiume Yarkon e l'attraversamento della pianura di Sharon, e giungeva a Afek alle sorgenti del fiume. Strategicamente delicato era il passaggio della catena del Carmelo.
Negli anni di Tutmosis III (1490 – 1436 a: C.) si legge: "Anno 23°, primo mese della terza stagione, giorno 16, nella città di Yehem. Sua Maestà ordinò un consiglio con il suo esercito vittorioso dicendo: Il vile nemico di Kadesh è venuto ed entrato in Megiddo dove egli si trova. Ha radunato là i grandi di tutti
i paesi che erano soggetti all'Egitto, i loro cavalli, i loro soldati, le loro genti. Egli dice: Aspetterò per combattere qui a Megiddo contro Sua Maestà. Dite quello che è nel vostro cuore".
L'esercito di Tutmosis III è giunto nella pianura di Sharon senza incontrare resistenza. Gli esploratori hanno riferito che il nemico, cioè la coalizione degli staterelli della Siria-Palestina riuniti dai Mitanni, attendono il faraone a Megiddo, pronti a dare battaglia all'uscita dei passi che, attraversando il Carmelo, uniscono la pianura di Sharon con quella di Esdrelon. I generali fanno presente al faraone la difficoltà:"Essi dissero: Come è possibile andare per questa via che è così stretta? I nemici sono là che aspettano all'uscita e sono numerosi. Non dovrà andare cavallo dietro cavallo e così gli uomini? Non sarà la nostra avanguardia già in combattimento mentre la retroguardia sarà ancora a Aruna (all'entrata del passo) senza poter combattere? Ci sono due strade (alternative): una delle vie è facile per il nostro signore e uscirà a Taannak; l'altra è la via a nord di Gefty e usciremo (lo stesso) alla città di Megiddo. Possa il nostro signore vittorioso scegliere a suo gradimento fra queste (due).
Ma non fare che andiamo per questa strada difficile". Al passo di Ira, più diretto ma più pericoloso che usciva a Megiddo, i generali prospettano l'attraversamento del Carmelo con una deviazione che esce a Yoqneam, a nord di Megiddo, o una strada a sud che sbuca alla fortezza di Taannak. La decisione del faraone è presentata senza esitazione: "La mia Maestà andrà per questa via di Aruna. Venga chi di voi lo desidera al seguito della mia Maestà. Se no diranno i nemici: Sua maestà è andata forse per un'altra via perché ha avuto paura di noi?" La battaglia di Megiddo, vittoriosa per l'esercito egiziano, decise del futuro della regione.
Un'altra citazione molto importante si trova in un documento rinvenuto in Egitto tra le lettere di Tell el-Amarna e risalente al 1400 a.C.; qui è stato ritrovato, infatti, l'archivio di Aknaton; le lettere sono scritte in assiro, perché sono state spedite dalla Mesopotamia e anche dalla Siria.
Nella lettera n. 8 il re di Babilonia scrive al Faraone d'Egitto per chiedergli che faccia giustizia per l'assassinio di alcuni suoi mercanti che, dopo aver acquistato in Egitto delle merci, stavano tornando in Mesopotamia, ma lungo la strada erano stati assaliti, derubati ed uccisi.
In questa lettera viene usata la parola Canaan per indicare un territorio che si trova al sud della Palestina, vicino dunque a luogo che intendiamo noi con questa indicazione geografica.
Sempre a Tell el-Amarna sono stati trovati i documenti della cancelleria di Amenofis III e IV; questi testi ci permettono di conoscere l'organizzazione amministrativa della nuova provincia di Canaan. Il Canaan era diviso in tre distretti amministrativi che facevano capo alle città di Gaza, Sumur e Kumidi. Il distretto con Gaza capitale comprendeva il territorio palestinese fino a Acco. L'area settentrionale con Sumur capitale comprendeva le città della costa libanese, il regno di Amurru e l'alta Galilea. La Beqaa libanese, la regione di Damasco, con il Bashan e l'alta valle del Giordano dipendevano dal governatore di Kumidi. A parte il regno di Amurru, il territorio del Canaan era suddiviso in regni cittadini, una situazione non molto dissimile da quella che risulta dai testi biblici al momento della conquista.

Del periodo ramesside (XIII secolo a.C.) abbiamo un trattato di geografia, la "Lettera satirica di Hori".
Hori era un maestro degli scribi e aveva compilato una specie di manuale di addestramento per gli apprendisti scribi, fatto a domande e risposte; chiedeva, ad esempio: "Dove si trova l'impero ittita?, "Dove si trova la città di Jibeil?" e così via.
Bibbia Tra le varie domande ce n'è una che chiede: "Dove comincia il territorio di Canaan? Come si fa per arrivarci e quanti giorni di cammino ci vogliono?"
E' importante sapere che uno dei compiti degli scribi era di fare da guida agli eserciti dei Faraoni. Poiché tra l'Egitto e la Siria – Palestina c'è il Sinai, una zona completamente desertica, era essenziale sapere quanti giorni ci volevano per attraversare quella zona e soprattutto sapere dove si trovavano i pozzi per l'acqua.
Sempre di epoca ramesside sono i due tentativi di invasione dei Popoli del mare che, respinti da Merneptah e da Ramses III, finirono come mercenari dell'Egitto o furono costretti a fermarsi sul confine dell'Egitto, sulla costa palestinese. Nell'inno di vittoria di Marneptah (1224 –1214 a.C.), per la prima volta leggiamo il nome di Israele insieme alle altre popolazioni della Siria – Palestina: "Il re cacciò via la tempesta che era sopra l'Egitto permettendo all'Egitto di rivedere i raggi del sole. ... Ora c'è pace. Una grande gioia regna in tutto l'Egitto. I principi prosternati gridano: Pietà. Nessuno alza la testa tra i Nove Archi. Il paese di Tjehnu è distrutto, Khatti è in pace. Canaan è stata saccheggiata con tutto il male. Ascalon è presa e Gezer catturata. Yeno'am è ridotta come se non fosse mai esistita. Israele è desolata e non ha più seme. Khor è rimasta vedova per l'Egitto".
L'ottavo anno del suo regno (1188 a.C.), Ramses III dovette intervenire per respingere un'imponente invasione dei popoli del mare proveniente da terra e dal mare: "Le nazioni straniere ordirono un complotto nelle loro isole. In una sola volta le terre furono sconvolte e disperse per la paura. Nessuna terra poté resistere di fronte alle loro braccia, da Hatti, Kode, Karkemish, Arzawa, Alasia ... Essi desolarono la terra di Amurru e la sua terra fu come qualcosa che non è mai esistito. Essi scendevano verso l'Egitto. Era una confederazione di Peleshet, Tjeker, Sheklesh, Denyen, Weshesh ... Essi misero le loro mani sulle terre fino ai confini della terra ... Io organizzai la mia frontiera in Djahi, preparata contro di loro ... Io avevo preparato le bocche del fiume come un muro forte, con navi da guerra ... Quelli che raggiunsero la mia frontiera, il loro seme non è più, il loro cuore e la loro anima sono finiti per sempre. Quelli che vennero avanti insieme dal mare, la fiamma era davanti a loro alle bocche del fiume, mentre una palizzata di lance li circondò sulla spiaggia. Essi furono trascinati, circondati e prostrati sulla spiaggia, uccisi, ammucchiati. Le loro navi e i loro beni sprofondati in acqua..."
Di epoca salomonica è il testo degli Annali della spedizione del faraone Sheshonq (Shishaq di 1 Re 14,25). Il testo identificato dallo Champollion nel 1828 fu il primo documento extrabiblico decifrato che trattava di un avvenimento ricordato nei libri dell'Antico Testamento. E' una grande iscrizione su una parete del tempio di Amon a Karnak, divisibile in due registri: a destra il faraone che uccide i principi nemici, a sinistra il dio Amon e la dea Wast che tengono legati con corde i cartigli con i nomi delle città asiatiche sconfitte dal faraone.

Con i nomi delle città identificabili, si può seguire l'itinerario della spedizione militare egiziana da Gaza alla montagna di Giudea, in Transgiordania, in Galilea, nella valle di Esdrelon e nel Negev.
I testi mesopotamici, come gli Annali dei re Assiri, da Tiglat Pileser I (1114 – 1076 a. C.) a Asarhaddon (681 – 669 a.C.) e gli annali dei re babilonesi, descrivono il percorso inverso seguito per conquistare la Siria – Palestina scendendo dal nord. "Io sono Tiglat Pileser, il grande re, re del mondo, re dell'Assiria – scrive il fondatore della dinastia assira - . Al comando del mio signore Assur fui un conquistatore. ... Andai in Libano ... continuai la mia marcia verso la terra di Amurru e conquistai tutta la terra di Amurru. ... Ricevetti tributo da Biblos, Sidone e Arvad. Da Arvad, che si trova sul mare, salpai per Sumur ..."
"Attraversai l'Eufrate – scrive Assurnasirpal II (885 – 889 a.C.) – e avanzai verso Karkemish ... Passai il fiume Apre (Aprin) ... Attraversai il fiume Oronte ... misurai tutta la regione della montagna del Libano e raggiunsi il mare Grande della regione di Amurru (il Mediterraneo). Sciacquai le mie armi nel mare profondo".
Asarhaddon (681 – 669 a.C.), alle titolature reali dei suoi predecessori aggiunge anche quella di re d'Egitto. Così ricorda la conquista e il passaggio nel sud palestinese: " Nella decima campagna marciai verso Kushu e Musuru (l'Egitto).. Partii da Assur ... attraversai il Tigri e l'Eufrate, poi marciai fino alla città di Rapihu (Rafia) nella regione sulla sponda del torrente d'Egitto ... ma lì non c'era un fiume e dovetti scavare pozzi per dare da bere ai soldati e portare l'acqua con i cammelli".

5. L'itinerario di Mosè

"Dalle steppe di Moab Mosè salì sul monte Nebo, sulla vetta del Pisga che è di fronte a Gerico e Dio gli mostrò tutta la terra: il Galaad fino a Dan, tutto Neftali, la terra di Efraim e di Manasse, tutta la terra di Giuda fino al mare occidentale, il Negev, il distretto della valle, Gerico città delle palme, fino a Zoar. Dio gli disse: Questa è la terra che ho giurato ad Abramo, Isacco e Giacobbe dicendo: Alla tua posterità io la concederò" (Dr 34, 1- 4).
Al termine di un lungo viaggio iniziato da Abramo, la terra che era stata dei Cananei, degli Ittiti, degli Ivvei, dei Ferezei, dei Gergesei, degli Amorrei e dei Gebusei (Gs 3, 10) viene occupata e divisa tra le dodici tribù di Israele. Il lungo processo storico che aveva portato alla formazione dello stato davidico nel Canaan diventa nel racconto biblico un'epopea unitaria nazionale, una marcia vittoriosa guidata da Dio.
Abramo, il portatore della promessa, parte da Harran, attraversa l'Eufrate e entra nel Canaan, dove tocca le città santuario di Sichem, di Betel, di Mambre-Ebron, di Gerusalemme e di Beersheba. A Ebron compra la grotta di Macpela.

Isacco abita nel Negev a Beersheba. Giacobbe "partì da Beersheba e si diresse verso Harran" per andare in Paddan Aram presso Labano l'Arameo, con sosta a Betel (Gn 28, 1 - 19).
Di ritorno nel Canaan con le mogli e i figli, Giacobbe attraversa la regione del Galaad fermandosi a Mahanaim (Gn 32, 3), a Penuel, al guado dello Yabbok (Gn 32, 23 - 31), e a Succot (Gn 33, 17), giungendo sano e salvo nella città di Sichem che è "nella terra di Canaan" (Gn 33, 18). Prosegue per Betel e Kiryat Arba-Ebron, e "Giacobbe si stabilì nella terra dove suo padre aveva soggiornato come forestiero, nella terra di Canaan" (Gn 37, 1). Giuseppe, uno dei suoi dodici figli capostipiti delle tribù di Israele, venduto per invidia dai fratelli, diventa il mezzo provvidenziale preparato da Dio per ricevere in Egitto Giacobbe e le famiglie dei suoi figli durante una carestia: "Giacobbe-Israele levò le tende con tutti i suoi averi e arrivò a Beersheba ... Dio gli disse: Io sono Dio, il Dio di tuo padre. Non temere di scendere in Egitto, perché laggiù io farò di te un grande popolo. Io scenderò con te in Egitto e certamente ti farò tornare..." (Gn 46, 1 - 4).
Schiavi e oppressi in terra d'Egitto, Dio inviò loro un liberatore, Mosè: "Ho visto la miseria del mio popolo ... sono disceso a liberarlo ... e a farlo uscire da quella terra verso un paese prosperoso e vasto, verso un paese dove scorre latte e miele" (Es 3,7). La fuga-liberazione, incalzati dalle truppe del faraone, diventa un andare incontro a Dio che li attende nel deserto, sulla montagna, per stringere con loro un'alleanza di predilezione: "Avete visto tutto ciò che io feci agli Egiziani, come vi abbia portato su ali di aquila e come vi abbia condotto verso di me. Ormai, se voi ascolterete veramente la mia voce e osserverete la mia alleanza, sarete per me una proprietà particolare fra tutti i popoli" (Es 19, 4-5).
La molteplicità delle tradizioni tribali confluite nel racconto, non sufficientemente armonizzate nel processo letterario, rompono la direttrice unitaria dello schema geografico portante: da Harran al Canaan, all'Egitto; dall'Egitto al Canaan, attraverso la penisola sinaitica e la regione transgiordanica, fino alla sponda orientale del fiume Giordano. L'itinerario coerente e unitario, se non reale almeno fittizio, lungo una delle strade che univano l'Egitto alla Siria-Palestina, viene complicato da una serie di itinerari parziali e contraddittori.
Sul piano storico-geografico i vari itinerari, con le stazioni e i santuari toccati dalle tribù in cammino verso la terra promessa, completano la descrizione della rete viaria del Canaan complessa e articolata, come la geografia della regione.
Per la sua posizione ponte tra due continenti, la Siria-Palestina era attraversata, in ogni direzione, da vie carovaniere che ne hanno condizionato la vita economica e l'importanza politica.

Bibbia I Patriarchi, nei loro spostamenti, si mossero lungo la strada della montagna, la strada mediana che correva sullo spartiacque della montagna di Giuda e di Efraim. Partendo da Beersheba, nodo viario, nel Negev, delle piste carovaniere provenienti dal sud, la strada saliva a nord toccando i santuari e le città di Ebron, Mambre, Betlem, Gerusalemme, Betel, Silo, Sichem, Samaria e Dotan, all'incrocio di altrettante vie che univano la strada costiera, o via del mare e via dei Filistei, con la strada dei re che passava sull'altopiano transgiordanico.
"Quando il faraone lasciò partire il popolo, Dio non li guidò per la via dei Filistei, sebbene fossa la più breve ... Dio fece quindi piegare il popolo per la via del deserto (Es 13, 17-18).
L'asse portante di una fitta rete viaria, che diremmo secondaria e locale, erano le due strade che attraversavano la regione in direzione nord-sud, sulle quali si riversava il traffico internazionale: la via dei Filistei e la strada dei re.
La via costiera, conosciuta dagli scribi-guida egiziani e mesopotamici, fu la più seguita dagli eserciti invasori. La strada, conosciuta anche come la via del mare, nome mutuato da un testo di Isaia (9,1), era la continuazione in terra asiatica della strada di Horo con partenza nella terra dei Filistei, la regione più meridionale del Canaan. Superato il Carmelo, da Megiddo, nella valle di Esdrelon, la strada si divideva in un ramo orientale, che scendeva a Bet Shean e attraversava il Giordano di fronte a Pahil-Pella; nel percorso centrale, che, superando le colline della bassa Galilea e costeggiando la sponda occidentale del lago di Genezaret, saliva a Hazor e a Dan, entrava nella Beqaa libanese e proseguiva verso la Siria settentrionale; e nel ramo occidentale che, costeggiando le pendici del Carmelo, ripigliava la costa del Mediterraneo ad Acco, superava l'ostacolo naturale di Ras en-Naqura e proseguiva per Tiro, Sidone, e le altre città della costa fino all'alta Siria.
I fuggitivi ebrei, secondo il testo biblico, giunti alla strada di Horo, non prendono la via dei Filistei, ma la via del deserto, che li conduce nel deserto di Shur (Es 15, 22).
Dopo tre giorni giungono a Mara, poi a Elim "dove erano dodici fonti d'acqua e settanta palme", e entrano nel deserto di Sin "che è tra Elim e il Sinai" (Es 15,23 – 16,1). Levate le tende dal deserto di Sin, si accamparono a Rafidim (Es 17, 1) e "giunti nel deserto del Sinai si accamparono in questo deserto. Qui Israele si accampò davanti alla montagna" (Es 19, 1-2)
Dopo essersi soffermato lungamente a descrivere la teofania e l'alleanza tra Dio e il popolo, il racconto del viaggio riprende. "I figli di Israele ... levarono le tende dal deserto del Sinai ... e giunsero nel deserto di Paran" (Nm 10, 11). "Partirono dal monte di Dio e fecero tre giorni di cammino" (Nm 10, 33) giungendo a Taberah, con sosta a Hibrot-Hattaava e Hazerot (Nm 11, 3.35), per accamparsi nel deserto di Paran (Nm 12,16).

Dal deserto vengono inviati degli esploratori nella terra di Canaan (Nm 13,1 ss). Di lì alcuni tentano di aprirsi la strada verso il sud della Palestina, subendo una pesante sconfitta nel Negev (Nm 14,45). Dal deserto di Paran giunsero "nel deserto di Sin e il popolo si stabilì a Kadesh" (Nm 20,1 ss), da dove Mosè inviò dei messaggeri al re di Edom chiedendogli di permettere al suo popolo di attraversare il suo territorio.
Del primo tratto di strada che va dall'Egitto a Kadesh è possibile identificare il punto di partenza e il punto di arrivo: dal delta egiziano all'oasi di Kadesh Barnea. Restando però sconosciuta l'ubicazione della montagna di Dio, è difficile identificare le stazioni dell'itinerario lungo la via del deserto, che attraversando la penisola sinaitica univa l'Egitto all'oasi santuario sul confine del Canaan.
Basandosi sul sommario geografico di Gdc 11,16-18 ("Quando uscì dall'Egitto Israele marciò dal deserto fino al mare dei giunchi e giunse a Kadesh") c'è chi propone di identificare la montagna di Dio nelle vicinanze di Kadesh, lungo la pista che attraversando il deserto conduceva direttamente all'oasi santuario e proseguiva fino a Elat sul mar Rosso.
La lista-sommario più dettagliata delle stazioni, conservata in Nm 33, presuppone un ordine di marcia secondo una progressione: mare dei giunchi, deserto del Sinai, Yotbata, Ezion Geber (sul mar Rosso), Kadesh Barnea. Il porto di Ezion Geber, da alcuni identificato con l'isola del faraone, centro dell'attività commerciale salomonica del mar Rosso (1 Re 9,26), dà un senso di marcia da sud verso nord alla seconda parte dell'itinerario: "Levarono le tende dal mare dei giunchi ... e si accamparono nel deserto del Sinai ... a Yotbata ... a Ezion Geber. Levarono le tende da Ezion Geber e si accamparono nel deserto di Sin che è Kadesh" (Nm 33,10.33.35-36).
L'itinerario percorso dai pellegrini cristiani, già documentato nel IV sec. d.C. da Suez a Ayoun Mousa (Mara), a Gharandal (Elim), all'oasi di Feiran (Rafidim), al Jebel Mousa (la montagna di Dio), avrebbe, in tale progressione di marcia, la sua giustificazione storica.
"Da Kadesh Mosè mandò messaggeri al re di Edom per dirgli: Così dice tuo fratello Israele: Ecco ci troviamo a Kadesh, città che è all'estremità del tuo territorio. Permettici di attraversare la tua terra: non attraverseremo i campi né le vigne e non berremo l'acqua dei pozzi, cammineremo per la via del re senza deviare a destra o a sinistra, finché non avremo attraversato il tuo territorio ... Saliremo per la strada pubblica..." (Nm 20, 14-19).
La strada dei re, la seconda via internazionale che passava in Transgiordania, aveva due tracciati che correvano più o meno paralleli.

Il percorso occidentale, ricordato nella richiesta di Mosè al re di Edom, partiva da Elat sul mar Rosso, attraversava l'altopiano transgiordanico nella fascia abitata e coltivata, scendendo e inerpicandosi nei wadi che interrompono la regione, toccava Sela e Borsa in Edom, Rabbat, Dibon, Madaba e Heshbon in Moab, e giungeva a Rabbat Ammon. Era un percorso che si avvantaggiava della presenza di sorgenti e dei centri abitati, anche se la distanza veniva notevolmente allungata. Il percorso orientale, o strada del deserto, evitava la fascia coltivata con i wadi, rendeva più spedito il viaggio, con l'inconveniente però della mancanza d'acqua e il pericolo degli attacchi dei beduini. Entrambi i percorsi si ricongiungevano a Rabbat Ammon, da dove, attraverso ramificazioni che ripetevano il tracciato accidentato o veloce del tratto precedente, raggiungevano l'oasi di Damasco; proseguendo per la Siria settentrionale. In Nm 21,33 e Dr 3,1, essa diventa la strada di Bashan, con riferimento al tratto settentrionale che, prima di raggiungere Damasco, attraversava la regione vulcanica a est del lago di Genezaret, sull'altopiano siriano. L'importanza della via dei re, divenuta in epoca romana la Via Nova Traiana della Provincia Arabia, fu essenzialmente commerciale. La strada convogliava verso i mercati e i porti del Mediterraneo il commercio carovaniero proveniente dalla penisola arabica, che aveva i suoi centri principali nel sud (Adramaut) e nel nord (Mecca e Medina).
Ripreso il cammino e giunti da Kadesh al monte Hor "sul confine della terra di Edom" (Nm 20,23), poiché il re di Edom aveva risposto negativamente alla domanda di lasciarli passare attraverso il suo territorio, gli Israeliti, secondo una prima tradizione, presero la strada "in direzione del mare dei giunchi per fare il giro della terra di Edom" (Nm 21,4). "Per lungo tempo – racconta coerentemente Mosè - abbiamo girato intorno alla montagna di Seir (o Edom) ... per il cammino dell'Araba per Elat e per Ezion Geber, quindi ci siamo voltati e abbiamo preso la via del deserto di Moab" (Dt 2,28). Secondo un'altra tradizione, gli Israeliti dal monte Hor scesero nell'Araba e risalirono sull'altopiano orientale lungo uno dei percorsi trasversali. Tra le stazioni dell'Araba, viene ricordata Punon-Feinan, importante centro minerario, dopo la quale gli Israeliti, risalito il wadi Zered-Hesa, e attraversato il Moab e il wadi Arnon-Mujib, conquistarono il Mishor Moab, regno di Heshbon, e scesero nelle steppe di Moab, davanti a Gerico, per la via del monte Nebo-Abarim (Nm 21,10ss; 33,41ss).

6. La nuova Gerusalemme

Agli evangelisti, interessati teologicamente a mettere in luce il messaggio di Gesù e il mistero della sua persona come superamento dell'antico ordine giudaico, i pochi accenni geografici servono principalmente a legare la sua figura al Re-Messia, sofferente realizzatore delle promesse fatte ai Padri, con la terra dell'antica alleanza, con il suo popolo e con Gerusalemme
.Gesù è il discendente di Davide, nato a Betlem, della tribù di Giuda (Lc 2,1-6), che dalla Galilea, nella terra di Zabulon e Neftali, inizia a irradiare la sua luce (Mt 4, 3ss). Figlio di Davide, egli predica per i villaggi di Israele la venuta del Regno che egli raduna nella fede alla sua Persona e nel suo sangue sparso in sacrificio per tutti i dispersi figli di Dio. Con la sua parola di vita egli ricostituisce il nuovo Israele chiamando a seguirlo i dodici apostoli continuatori della sua opera. Perché la strada che aveva condotto Gesù alla morte in croce non termina a Gerusalemme. Gesù lascia ai suoi apostoli la missione di essere "suoi testimoni a Gerusalemme, in Giudea e Samaria, fino ai confini del mondo" (At 1,8).
Conseguentemente l'autore degli Atti degli Apostoli, dopo essersi soffermato sul progressivo affermarsi della missione cristiana in Gerusalemme, Giudea e Samaria,, missione che porta Pietro in Samaria (At 8, 14), a Lidda, a Joppa e a Cesarea sul mare (At 9,31 – 10, 1ss), si dilunga a raccontare l'attività apostolica di Paolo, che si esplica in un infaticabile viaggio missionario per le vie dell'impero romano fino a Roma, centro di quel mondo al quale l'evangelo doveva essere annunziato (At 13, 28).
Nella visione universalistica e spirituale che si apre ai pagani e al mondo, oltre i confini dell'Israele storico, la terra santa, Gerusalemme e il suo tempio, sono un ricordo preparatorio, un momento temporale di una realtà eterna e immutabile promessa e realizzata da Dio con il suo Cristo: "E vidi un cielo nuova e una terra nuova. Infatti, il primo cielo e la prima terra passarono, e il mare non è più. E vidi la città santa, Gerusalemme nuova, che scende dal cielo, da presso Dio, preparata come una sposa... E udii una voce grande proveniente dal trono, che diceva: Ecco la dimora di Dio con gli uomini; e dimorerà con essi, e essi saranno i suoi popoli, e Dio stesso sarà con essi. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi, e la morte non sarà più, né lutto né grido né dolore saranno più; pèrché le cose di prima passarono" (Ap 21, 1-4).

Relazione tenuta nel Convegno UCIIM Lungo i sentieri della Bibbia, svoltosi a Torino il 3 febbraio 2004