Il viaggio nella Bibbia

VERSO LA TERRA PROMESSA
E DALLA TERRA PROMESSA

(ABRAMO, MOSÉ, PAOLO DI TARSO)
spunti didattici per leggere la Bibbia in classe
percorso interdisciplinare tra letteratura, storia e cultura religiosa


A cura di Giorgio BRANDONE
docente di Scuola Secondaria di secondo grado
Presentare la Bibbia ai giovani in un percorso didattico destinato ad una classe di scuola superiore pare un lavoro al di là delle possibilità di un insegnante: prima di tutto perché, per parlare della Bibbia, si dovrebbero possedere competenze di ordine diverso (storico, filologico, esegetico, …) che di solito un insegnante non possiede e che gli studenti ritengono troppo specialistiche e, quindi, "noiose"; poi perché la Bibbia, pur avendo nei secoli agito e continuando ancora ad agire come il lievito nella nostra cultura occidentale, è sentita come qualcosa di inevitabilmente legato alla dimensione religiosa dell'esistenza, se non è addirittura considerata riservata al mondo ecclesiastico, e quindi è accantonata, messa da parte dalla nostra cultura moderna laica e pluralista. Ma così facendo si rischia di dimenticare, appunto, la ricchezza di quella cultura occidentale che, imbevuta di pagine bibliche, ha attraversato i secoli e ha ispirato l'arte, la letteratura, la società in genere...

Pensiamo alla letteratura italiana: dal Cantico di frate sole di san Francesco d'Assisi (che riprende i salmi alleluiatici, in particolare il salmo 148 "laudate eum sol et luna, laudate eum omnes stellae"), alla Commedia dantesca, all'opera di Petrarca profondamente intrisa di motivi religiosi e piena di riferimenti biblici, a raccolte poetiche moderne come quelle di Luzi, di Rebora, di Ungaretti, la Bibbia ha costituito Il grande codice (come intitola il suo saggio edito in Italia nel 1986 da Einaudi il critico Northrop Frye), ha costruito "un sistema immaginativo entro il quale la letteratura occidentale ha operato sino al diciottesimo secolo, e sta in misura ancora operando" (op. cit. p. 3).

Risulta quindi evidente come lo spazio, anche minimo, lasciato alla Bibbia dai programmi ministeriali nell'ambito dello studio della letteratura debba senz'altro essere utilizzato, in modo particolare per far comprendere agli allievi che il Nuovo testamento e l'Antico testamento non riguardano soltanto la dimensione religiosa dell'esistenza, ma sono anche grandi opere letterarie, che hanno saputo trasmettere non esclusivamente valori etici, ma anche storie, immagini, che hanno agito sull'immaginazione creativa di molte generazioni e che senz'altro continuano a farlo.

La Bibbia deve essere considerata, quindi, non tanto come il libro sacro dell'ebraismo e del cristianesimo, ma come il libro (to bìblion) della nostra cultura.

PRESENTAZIONE DEL PERCORSO



IL VIAGGIO: DALLA TERRA PROMESSA AL MONDO

Dovendo muovermi in un ambito così complesso e così ricco, ho pensato di proporre alcuni "assaggi" di storie bibliche che dovrebbero essere ben conosciute perché fanno parte del nostro immaginario e della nostra cultura e che invece, spesso, i nostri studenti ignorano completamente: ho cercato, in modo particolare, di far cogliere come la Bibbia sia un testo storico che racconta le vicende di un popolo, quello ebraico, seguendo la diffusione del monoteismo che questo popolo praticava nel mondo orientale, fino alla venuta di colui che una parte del mondo giudaico, prima, e del mondo in genere, poi, ha identificato con il Messia e che ha predicato l'Evangelo, la "buona novella", sulla base della quale si è diffuso in tutto il mondo il credo cristiano.

Le storie sono quelle di Abramo, di Mosè, di Paolo di Tarso, tre storie, se vogliamo di "viaggi", tre storie che ci portano in momenti storici diversi: l'epoca dei patriarchi nell'oriente antico (intorno al 1850 circa a.C.); la schiavitù d'Egitto e l'esodo verso la Terra promessa (dal 1250 circa a.C.); i tre viaggi apostolici di san Paolo dal 46 al 58, fino all'arrivo a Roma e al martirio nel 67 d.C.

Da una parte, quindi, la Palestina, la Terra promessa, verso cui i patriarchi si muovono e con cui l'ebraismo ha sempre conservato un rapporto fortissimo ("L'anno prossimo a Gerusalemme" è l'augurio che gli ebrei osservanti si scambiano in occasione della Pasqua, dovunque si trovino) fino allo sviluppo del sionismo e alla costituzione dello stato di Israele, dall'altra parte il mondo tutto verso cui il messaggio cristiano si indirizza ("Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" Mt 28, 19)

Proponendo queste "storie" agli studenti si dovrebbe riuscire a interessarli in particolare agli aspetti storici che esse presentano (e quindi riuscire a collegare la Bibbia con lo studio delle civiltà antiche) facendo capire che la Bibbia, anche se per i credenti è parola di Dio, è in realtà stata scritta da uomini ("gli scrittori sacri", come venivamo chiamati un tempo) che hanno trasferito nelle pagine il loro modo di vedere le cose, il loro "mondo".

Se quel modo di vedere le cose ha influenzato i secoli successivi e influenza ancora il nostro immaginario collettivo, se ne deve concludere che la Bibbia sia quanto mai attuale.

IL VIAGGIO DI ABRAMO

La storia di Abramo si trova nel primo libro della Bibbia, la Genesi, dal capitolo 12 al capitolo 25. E' la storia della fedeltà di un uomo alla missione che gli è stata affidata, quella di abbandonare la sua terra e di compiere un viaggio verso una terra straniera, prestando fede a ciò che il testo biblico presenta come il volere di Dio. Ma è anche la storia delle popolazioni nomadi che vivevano tra la Mesopotamia, la Siria, la Palestina e che si muovevano alla continua ricerca di pascoli, scontrandosi con le popolazioni, nomadi spesso anch'esse, che abitavano quei luoghi.

Abramo era, secondo quanto dice la Genesi, figlio di Terach e fratello di Nacor e di Aran, da cui nacque Lot (cfr. Gn 11, 27). La famiglia di Terach era originaria di Ur dei Caldei ("Aran poi morì alla presenza di suo padre Terach nella sua terra natale, in Ur dei Caldei" – Gn 11, 28).

"Poi Terach prese Abram, suo figlio, e Lot, figlio di Aran, figlio cioè del suo figlio, e Sarai sua nuora, moglie di Abram suo figlio, e uscì con loro da Ur dei Caldei per andare nel paese di Canaan. Arrivarono fino a Carran e vi si stabilirono." (Gn 11, 31)

A Carran Terach morì (Gn 11, 32)

Il testo biblico indica una serie di nomi di persona e di luoghi che appartengono all'area della Mesopotamia occidentale. Terach, Abramo e Lot partirono da Ur Kasdim (Ur dei Caldei), arrivarono a Carran ed ebbero come traguardo la terra di Canaan.

L'identificazione precisa di Ur Kasdim è dibattuta: la tradizione e la letteratura divulgativa la identificano nella sumerica Ur, nella parte meridionale estrema della terra tra i due fiumi, al centro dell'antica Sumer. In realtà, se così fosse, bisognerebbe pensare ad uno spostamento molto ampio per giungere a Carran (Harran), che si trova nell'area nord occidentale della Mesopotamia. Le popolazioni nomadi compivano certo spostamenti di ampio raggio ed è possibile che gruppi di pastori nomadi attraversassero tutta la Mesopotamia, anche se un movimento del genere non appare del tutto convincente. C'è però una possibile interpretazione del passo che limiterebbe il movimento del gruppo di Abramo: nella Bibbia si parla di Ur dei Caldei solo in Gn 11, 28 e 15, 17; il testo greco dei LXX, di contro al testo ebraico, legge non "da Ur (‘r) dei Caldei" ma "dalla terra (‘rs) dei Caldei". Un qualche copista avrebbe trascurato una lettera portando ad un fraintendimento di quello che era stato il luogo di partenza del gruppo di Abramo: non l'antica terra dei Sumeri, ma più in generale la terra dei Caldei, cioè l'ambiente babilonese. (Su questi aspetti si può vedere utilmente Siegfried Hermann, Storia di Israele, Brescia, Queriniana, 1977; pp. 69-70)

Di contro a questa tesi, che mette in discussione l'origine del gruppo di Abramo da Ur, si pone, come detto, la tradizione ripresa dalla Bibbia di Gerusalemme: "Ur dei Caldei è nella bassa Mesopotamia. Carran è a nord-ovest della Mesopotamia. La storicità di questa prima migrazione è discussa. Essa però è attestata da tradizioni antiche (Gn 11, 28; 15, 7) redatte in un'epoca in cui Ur era caduta nell'oblio. Essa era invece un centro importante all'inizio del II millennio e aveva già legami religiosi e commerciali con Carran. Bisogna almeno riconoscere la possibilità di questa prima migrazione: solo la menzione dei caldei sarebbe una precisazione aggiunta in epoca neo babilonese." (Bibbia di Gerusalemme, Bologna, Edizioni dehoniane, nota a Gn 11, 31).

Un'analisi di questo genere in classe può essere utile per diversi aspetti:

Ma la storia delle migrazioni di gruppi nomadi nell'Oriente antico, trova nel racconto della Bibbia una motivazione di tipo religioso. Abramo lascia Carran, in Mesopotamia, prestando fede alle parole del Signore:

"Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria

e dalla casa di tuo padre,

verso il paese che io ti indicherò.

Farò di te un grande popolo

e ti benedirò,

renderò grande il tuo nome

e diventerai una benedizione.

Benedirò coloro che ti benediranno

e coloro che ti malediranno maledirò

e in te si diranno benedette

tutte le famiglie della terra." (Gen. 12, 1-3)

Il suo gruppo è un gruppo numeroso, comprende la moglie, il figlio di suo fratello, i servi e gli animali. Dopo un viaggio che possiamo immaginare lungo e faticoso (Abramo aveva settantacinque anni –dice la Bibbia - quando gli fu rivolta la parola del Signore) su strade carovaniere che non dovevano essere molto diverse da quelle attuali, la famiglia di Abramo arrivò nel paese di Canaan, abitato allora dai Cananei. Ma il Signore parlò nuovamente ad Abramo e gli disse: "Alla tua discendenza io darò questo paese" (Gen. 12,7).

E' possibile, a questo punto, provare a riflettere in modo generico con gli studenti sul significato che la Terra Promessa ha avuto per l'ebraismo: certo il significato di Terra Promessa è profondamente mutato nei secoli, ma pensare che le tradizioni più antiche (i capitoli 12-13 del libro della Genesi costituiscono un racconto jahvista, con alcune aggiunte sacerdotali – secondo la critica di fine Ottocento, molto discussa, sarebbero stati messi per iscritto nel secolo IX in Giuda) sottolineano più volte il legame di un gruppo – destinato a diventare un popolo – con una determinata regione non può che far meditare alla luce degli avvenimenti che oppongono palestinesi ad israeliani ai giorni nostri. La Terra Promessa per il popolo ebraico è la terra che Dio ha voluto per il suo popolo: i tratti dell'utopia si mescolano così con la realtà in un legame inscindibile. Stanziarsi nella Terra Promessa, lavorarla, farla fruttificare, renderla una terra fertile è stato un ideale per le popolazioni nomadi di allevatori che a poco a poco si sono trasformate in agricoltori, un ideale ripreso dal sionismo dell'Ottocento, che ha fortemente voluto il ritorno in Palestina. E poi le persecuzioni razziali, i pogrom, la shoà hanno reso il ritorno in Palestina inevitabile e sempre più problematico...

Un elemento interessante su cui soffermarsi con gli studenti dopo aver letto anche pochi versetti del libro della Genesi è il rapporto tra mito, leggenda e storia nella Bibbia. In effetti negli studenti può essere comune l'idea che la Bibbia racconti vicende leggendarie, quando addirittura non proponga una serie di miti. Può essere utile, a questo proposito, leggere il capitolo dedicato a questa questione da J. Alberto Soggin nell'Introduzione all'Antico Testamento edita da Paideia (Brescia, 1968). Soggin sottolinea come l'Antico Testamento "ha spesso seguito nei riguardi del mito una cosciente e coerente pratica di demitizzazione" (p. 84): gli scrittori biblici per la loro mentalità storica, pur con qualche limitazione, hanno eliminato la visione mitica del mondo. Nella Bibbia rimangono tracce – specie in alcune parti poetiche - di una mitologia che Israele possedeva all'origine della sua esistenza e che a poco a poco ha abbandonato: in effetti, mentre il mito è l'opposto della storia, è la narrazione di imprese di dei ed eroi "indipendenti da un qualche contesto storico-geografico e cronologico perché di solito, almeno nelle origini, legati allo schema ciclico della natura e della sua fertilità" (p. 82), il mondo ebraico, invece, sperimenta la realtà del divino nella storia.

Il termine leggenda, d'altra parte, non deve essere giudicato in modo negativo, secondo l'accezione vulgata di "narrazione fantastica": la "leggenda" è "il ricordo di un fatto realmente avvenuto, di un'esistenza realmente vissuta o di persone realmente esistite, ma in un'epoca preistorica, della quale possediamo materiali tradizionali di tipo popolare" (p. 86). Come le leggende dell'Iliade ci permettono di risalire al mondo miceneo-egeico, così le leggende dei Patriarchi ci permettono di risalire al mondo al quale appartenevano, il mondo dei nomadi semiti che si muovevano nell'area mesopotamica.

Ma se la Bibbia ci racconta le leggende dei Patriarchi, come si può parlare di un libro storico? In effetti, anche la storia di Abramo è vera storia dal momento che le leggende dei Patriarchi affondano le proprie radici in esperienze storiche reali che, pur trasformate dalla tradizione popolare, conservano una forte impronta delle origini. Le scoperte archeologiche contemporanee e, in particolare, i testi rinvenuti nelle città mesopotamiche di Mari e Nuzi ci hanno, in effetti, rivelato come alcuni passi in apparenza poco chiari siano in realtà del tutto evidenti alla luce dei costumi e delle usanze del mondo mesopotamico.

Nel capitolo 15, ai versetti 2-3, Abramo risponde a Dio che in visione gli ha promesso una "ricompensa molto grande" dicendo: "Mio Signore Dio, che mi darai? Io me ne vado senza figli e l'erede della mia casa è Eliezer di Damasco". E ancora: "Ecco a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede". Ora le scoperte e gli studi hanno messo in luce come le usanze del mondo mesopotamico volessero che il maggiordomo di una casa senza eredi fosse ufficialmente l'erede dei beni del padrone: per questo Abramo, lamentando la mancanza di figli che possano ereditare i suoi beni, fa riferimento a Eliezer di Damasco, suo maggiordomo.

La leggenda trova senso alla luce delle fonti storiche: la Bibbia, quindi, si rivela un libro "storico".

Per tornare alla storia di Abramo, il libro della Genesi racconta le vicende del patriarca dal capitolo 11, v. 23 al capitolo 25, v. 10. Abramo, dopo aver seguito la chiamata del Signore, si accampa nel deserto del Negheb (Gn 12, 9); passa poi in Egitto per sfuggire ad una carestia (Gn 12, 10-20). Torna in seguito nel Negheb e si separa da Lot: "Abram si stabilì nel paese di Canaan e Lot si stabilì nelle città della valle (del Giordano)" (Gn 13, 12).

"Allora il Signore disse ad Abram, dopo che Lot si era separato da lui: ‘Alza gli occhi e dal luogo dove tu stai spingi lo sguardo verso il settentrione e il mezzogiorno, verso l'oriente e l'occidente. Tutto il paese che tu vedi, io lo darò a te e alla tua discendenza per sempre. Renderò la tua discendenza come la polvere della terra: se uno può contare la polvere della terra, potrà contare anche i tuoi discendenti. Alzati, percorri il paese in lungo e in largo, perché io lo darò a te.'" (Gn 13, 14-17)

Dopo aver ricordato la guerra di quattro re contro cinque re, la prigionia di Lot e la sua liberazione per mano di Abramo - "Piombò sopra di essi di notte, lui con i suoi servi, li sconfisse e proseguì l'inseguimento fino a Coba, a settentrione di Damasco. Recuperò così tutta la roba e anche Lot, suo parente, i suoi beni, con le donne e il popolo." (Gn 14, 15-16) –, si ricorda come Melchisedek, re di Salem, sacerdote di Dio altissimo, benedisse Abramo e offrì pane e vino (Gn 14, 18-20).

Si tratta di un passo molto famoso, che è stato interpretato dalla tradizione giudaica e patristica in chiave allegorica. Leggendo questi pochi versi è quindi possibile proporre un rapido excursus sull'interpretazione allegorica della Bibbia in generale.

"Intanto Melchisedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram con queste parole:

‘Sia benedetto Abram dal Dio altissimo,

creatore del cielo e della terra,

e benedetto sia il Dio altissimo,

che ti ha messo in mano i tuoi nemici.'" (Gn 14, 18-20)

Il salmo 76, 3 interpreta Salem come abbreviazione di Gerusalemme, "città di pace" (shalom) e la tradizione giudaica vede in Melchisedek un re-sacerdote sul cui modello sarà proposta la figura del re Davide e la figura del Messia. Il salmo 110, salmo messianico, al versetto 4 recita: "Il Signore ha giurato e non si pente; ‘ Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek.'"

L'interpretazione del primo cristianesimo vede in Melchisedek una figura di Cristo "divenuto sommo sacerdote per sempre alla maniera di Melchisedek" (Eb 6, 20). "Questo Melchisedek infatti, re di Salem, sacerdote del Dio Altissimo, andò incontro ad Abramo mentre ritornava dalla sconfitta dei re e lo benedisse; a lui Abramo diede la decima di ogni cosa; innanzitutto il suo nome tradotto significa re di giustizia; è inoltre anche re di Salem, cioè re di pace. Egli è senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio e rimane sacerdote in eterno." (Eb 7, 1-3) La Lettera agli ebrei prosegue sottolineando l'abrogazione, ad opera di Cristo, della legge antica e del sacerdozio giudaico, e l'instaurazione del sacerdozio di Cristo, il sacerdozio perfetto.

L'interpretazione patristica sottolinea, poi, come l'offerta del pane e del vino sia figura dell'eucaristia: questa interpretazione è ricordata anche nel Canone romano della Messa.

Allegoria è "leggere un episodio in un altro modo", in un modo cioè non letterale (e storico): in particolare nell'episodio di Melchisedek la lettura allegorica che ne fanno i Padri della Chiesa è "tipologica", quella lettura allegorica che si ha quando i personaggi e gli episodi dell'Antico Testamento anticipano le realtà del Nuovo Testamento e trovano nuova luce nella chiave dell'Evangelo.

La storia di Abramo prosegue ancora ricordando i dubbi di Abramo che, privo figli, non riesce a comprendere il senso della promessa di Dio: "Ecco a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede" (Gn 15, 3). Ma Dio si rivolge di nuovo ad Abramo: "'Non costui sarà il tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede'. Poi lo condusse fuori e gli disse: ‘Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle' e soggiunse: ‘Tale sarà la tua discendenza'. Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia." (Gn 15, 4-6)

Come detto, la storia di Abramo è la storia di un uomo che ha prestato fiducia alla parola di Dio. Lo scrittore ha voluto proprio mettere in luce questo aspetto di Abramo e lo ha proposto agli uomini del suo tempo e a tutti coloro che, nei tempi, hanno letto questi passi. La storia dell'Antico Testamento è la storia dell'incontro tra l'uomo e Dio, è la storia dell'uomo che, fra mille incertezze e debolezze, ha prestato ascolto alla voce di Dio e l'ha seguita.

Abramo, che non ha avuto figli dalla moglie Sarai, genera un figlio da una schiava egiziana, Agar, e gli dà nome Ismaele (Gn 16). Anche in questo caso le testimonianze storiche supportano il racconto della Genesi: secondo il diritto mesopotamicouna sposa sterile poteva dare a suo marito una schiava per moglie e riconoscere come propri i figli di quest'unione. Per questo Sarai dice ad Abramo: "Ecco, il Signore mi ha impedito di aver prole; unisciti alla mia schiava: forse da lei potrò aver figli" (Gn 16, 2).

Poi, quando Abramo aveva – dice la Bibbia novantanove anni gli apparve Dio e gli parlò, stabilendo con lui un'alleanza, ponendo la circoncisione come segno di essa e promettendo ad Abramo un figlio:

"'Eccomi
la mia alleanza è con te
e sarai padre
di una moltitudine di popoli.
Non ti chiamerai più Abram
ma ti chiamerai Abraham
perché padre di una moltitudine
di popoli ti renderò.
E ti renderò molto, molto fecondo; ti farò diventare nazioni e da te nasceranno dei re. Stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te di generazione in generazione, come alleanza perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te. Darò a te e alla tua discendenza dopo di te il paese dove sei straniero, tutto il paese di Canaan in possesso perenne; sarò il vostro Dio.'" (Gn 17, 4-8)
"Quanto a Sarai tua moglie, non la chiamerai più Sarai, ma Sara. Io la benedirò e anche da lei ti darò un figlio; la benedirò e diventerà nazioni e re di popoli nasceranno da lei." (Gn 17, 15-16)

Leggendo i due brani proposti è importante sottolineare due aspetti presenti in essi: da una parte il cambiamento dei nomi, dall'altra, ancora una volta, il legame con il paese di Canaan.

Per quanto riguarda il problema dei nomi, bisogna ricordare come nella concezione antica il nome determini la natura delle persone: cambiare il nome vuol dire, quindi, cambiare il proprio destino. D'altra parte attribuire il nome alle cose è una forma di dominio: Adamo, nel Paradiso terrestre, dà il nome "a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche" (Gn 2, 20), per sottolineare la condizione di superiorità dell'uomo sulle creature. Il fatto che Dio cambi il nome ad Abramo e a Sara è quindi segno che il loro destino muta dal momento in cui si affidano a Dio, ascoltano le sue parole, osservano i suoi comandi. Abram e Abraham sono due forme dialettali del medesimo nome e significano "Egli è grande quanto a suo padre, è di stirpe nobile", ma il termine Abraham presenta un'assonanza con ‘ab hamon, "padre di moltitudini". (cfr. La Bibbia di Gerusalemme, nota a Gn 17, 5).

Anche nel Nuovo Testamento troviamo un cambiamento famoso di nome; nel Vangelo di Matteo Gesù dice a Pietro: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli (Pietro ha definito Gesù "il Cristo, il Figlio del Dio vivente"). E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa." (Mt 16, 17-18) Il destino di Pietro cambia – da pescatore diviene apostolo dell'Evangelo – e con il destino cambia anche il suo nome, diviene Petros in greco o Kefa in aramaico, "roccia", un termine che fino ad allora non era mai stato utilizzato come nome di persona, proprio per sottolineare la sua nuova vocazione.

Il racconto della storia di Abramo prosegue con alcuni episodi famosi, che possono essere utilmente oggetto di lettura in classe:

Si tratta di un episodio molto complesso in cui confluiscono due tradizioni: la tradizione Elohista e quella Jahwista. (Soffermandosi su questo episodio si potrebbe proporre una riflessione sulla critica letteraria del Pentateuco: a questo riguardo può essere utile l'introduzione al Pentateuco nel primo volume della Nuovissima Versione della Bibbia, Genesi, delle Edizioni Paoline). Nell'episodio del sacrificio di Isacco vi sarebbe traccia della fondazione di un santuario familiare ad opera di Abramo. La fondazione di un santuario prevedeva un sacrificio, in alcuni casi umano. Nel mondo cananeo si immolava il primogenito: di questo costume ci parlano testimonianze letterarie e archeologiche (iscrizioni trovate a Malta e a Cartagine). Anche in questo caso, pur nella complessità della stratificazione testuale, permane il ricordo storico alla base del racconto che, però, chiaramente, è strutturato per sottolineare l'obbedienza di Abramo alle parole di Dio. La tradizione cristiana ha poi letto tutto l'episodio del sacrificio di Isacco in chiave allegorica e tipologica: Isacco è figura Christi, vittima innocente, anche se Isacco non viene effettivamente sacrificato. Leggendo la storia di Abramo in classe è possibile, come abbiamo visto in alcuni spunti: Ma, forse, l'aspetto su cui più concentrare l'attenzione degli allievi può essere quello del movimento, del viaggio: la storia di Abramo è, come detto, la storia un capo tribù nomade che si muove con i suoi familiari, i suoi servi e i suoi animali alla ricerca di pascoli e di acqua. Nella storia di Abramo, però, è adombrato anche il passaggio dalla fase del nomadismo puro a quelle di semi-nomadismo in cui cominciano ad esistere dei territori di riferimento, a cui ritornare o con cui sottolineare il proprio legame. La storia, infatti, propone evidente il tema del legame del clan di Abramo con la terra di Canaan, giustificato da motivazioni di tipo religioso, l'obbedienza del patriarca alla volontà di Dio che gli ha rivelato quella che sarà la vocazione sua e dei suoi discendenti. La critica del testo ha rivelato come nella storia di Abramo due tradizioni si mescolino: quella sacerdotale che si sofferma sul muoversi delle popolazioni nomadi – la transumanza delle greggi da Carran nella terra di Canaan - e quella jahwista che parla di pellegrinaggi verso tre santuari: Sichem, Bet El e Mambre. In ogni caso nel racconto della storia di Abramo si fa riferimento ad uno spostarsi ed è un movimento che porta verso la Terra promessa.

E' possibile leggere, nella celebrazione della Terra promessa, un tratto ideale: la Terra promessa assume, nel racconto del libro della Genesi, le sembianze di un nuovo Paradiso terreste, dopo quello perduto da Adamo in seguito al peccato originale (cfr. Gn 2-3)

Dietro il racconto della storia di Abramo e degli altri patriarchi ci sarebbe uno schema di questo tipo:

alleanza tra Dio e Adamo – Paradiso terreste – felicità
peccato di Adamo – rottura dell'alleanza – cacciata dal Paradiso terreste – infelicità e morte
nuova alleanza tra Dio e Abramo – Terra promessa – nuova condizione di felicità.

Nelle storie dei patriarchi il testo biblico sottolinea però sempre come questo nuovo patto tra Dio e l'uomo sia fragile e come l'uomo sia sottoposto alla tentazione di infrangere continuamente il patto, per abbandonare Jahvé e darsi all'adorazione degli idoli. Se si insite su questo aspetto, allora la Terra promessa, più che una realtà geografica vera e propria, assume un valore simbolico: rappresenta quella condizione di legame tra Dio e l'uomo che, solo, garantisce la felicità interiore. Abramo si abbandona alla volontà di Dio e giunge in questo modo alla Terra promessa.

IL VIAGGIO DI MOSE'


Tenendo presente quanto abbiamo detto sulla Terra promessa e sul viaggio di Abramo verso di essa, possiamo provare a rileggere la storia di Mosé nel Pentateuco. E' superfluo ricordare come la tradizione attribuisca la Thorà o Pentateuco (i primi cinque libri della Bibbia) alla mano di Mosé. E delle vicende di Mosé si parla ampiamente nella prima parte del libro dell'Esodo (capp. 1-34) e negli interi libri dei Numeri e del Deuteronomio. Sarebbe quindi molto difficile una lettura integrale dei testi che parlano di Mosé con gli allievi in classe: meglio riassumere brevemente la storia di Mosé e fermare l'attenzione su alcuni punti significativi al fine della nostra riflessione o su alcuni passi dal particolare valore letterario.

Si comincia a parlare di Mosè, ricordandone la nascita, nel secondo capitolo del libro dell'Esodo.

L'Esodo, come tutti sanno, è il libro che ricorda l'uscita (exodos) degli ebrei dall'Egitto e le loro peregrinazioni verso la Terra promessa. E' un libro, quindi, che ha una struttura di tipo storico (il racconto della schiavitù degli ebrei in Egitto, il ricordo della liberazione, il viaggio nel deserto) cui si mescolano elementi di tipo epico o leggendario (la figura di Mosé come eroe, i castighi che Dio manda sull'Egitto per convincere il faraone a lasciar partire gli ebrei, la sconfitta degli egiziani) ad elementi di tipo liturgico (il racconto della celebrazione della Pasqua, l'alleanza del monte Sinai, la costruzione del santuario mobile in cui conservare le tavole della legge).

Giuseppe, figlio di Giacobbe, figlio a sua volta di Isacco, era stato venduto dai suoi fratelli e condotto in Egitto dove aveva ottenuto la benevolenza del faraone interpretandone i sogni ed era diventato alto funzionario della sua casa. Il padre Giacobbe e i suoi fratelli l'avevano seguito in Egitto e il popolo ebraico si era moltiplicato, suscitando l'avversione degli egiziani. Un nuovo faraone, probabilmente Ramsete II (1290-1224) che non aveva conosciuto Giuseppe, preoccupato per la crescita del popolo ebraico, aveva imposto loro di svolgere lavori umili e aveva stabilito che i nuovi nati maschi dovessero essere uccisi.

Ad una prima lettura il testo biblico potrebbe sembrar contraddittorio: la Terra promessa ai padri nel libro della Genesi è stata abbandonata e si rivela necessaria una sua nuova conquista. Dobbiamo quindi tornare a riflettere sulle migrazioni di cui la storia di Abramo è solo un episodio: in effetti il gruppo di Abramo apparteneva a popolazioni aramee che si erano mosse verso la Siria e la Palestina partendo dalla Mesopotamia. Alcuni gruppi di queste popolazioni si erano stanziati in zone montagnose e poco abitate della Palestina, raggiungendo così la Terra Promessa. Altri gruppi, probabilmente più forti e numerosi, si erano diretti verso il Delta del Nilo, accampandosi probabilmente ai confini dell'impero egiziano. Storicamente pare poco probabile che i faraoni abbiano permesso un loro stanziamento in Egitto, se non breve alla ricerca di pascoli. E' probabile, invece, che i faraoni, come ricorda il libro dell'Esodo, abbiano utilizzato gruppi di popolazioni semitiche per i lavori pubblici, ad esempio per la costruzione della residenza di Ramsete II nella parte orientale del Delta. La Bibbia, quindi, pur prendendo spunto da avvenimenti storici, li modifica certamente trasformandoli in "storie": leggendo il testo biblico, quindi, bisogna continuamente tener conto di due livelli, quello storico e quello letterario. Nel racconto dell'esodo, in particolare, largo spazio è dato alla rielaborazione letteraria. Dal punto di vista storico i fatti realmente ricostruibili sono, come detto, i contatti (di semplice vicinanza?) tra tribù aramee e l'impero egiziano. Circostanze a noi note solo dal racconto biblico (e quindi, quasi inevitabilmente, rielaborate e amplificate) portarono a contrasti che spinsero le popolazioni aramee a riprendere il cammino del deserto del Sinai. A Kadesh questi gruppi si unirono con altri gruppi affini per stirpe e intrapresero il cammino verso la Terra promessa.

In questo quadro si sviluppa la storia del libro dell'Esodo: Mosè appena nato viene nascosto per tre mesi, poi posto in un cesto e affidato al Nilo. La figlia del faraone scorge il cesto, vede il bambino e, pur riconoscendolo ebreo, decide di salvarlo. Si tratta di una storia che ritorna a proposito dell'infanzia di personaggi celebri, come Sargon re in Mesopotamia, e che ha, quindi, caratteri stereotipati e ideali.

Storico pare invece il ricordo dell'oppressione degli ebrei in Egitto (un forte contarsto con gli egiziani?) e della loro liberazione sotto la guida di un condottiero che diviene il capo del suo popolo:

"Ora Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, e condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l'Oreb. L'angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: ‘Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?' Il Signore vide che si era avvicinato per vedere e disse: ‘Mosé! Mosé!' Rispose: ‘Eccomi!' Riprese: ‘Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!' E disse: ‘Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe". Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio.

Il Signore disse: ‘Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti: conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l'Hittita, l'Amorreo, il Perizzita, l'Eveo, il Gebuseo. Ora dunque il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto l'oppressione con cui gli Egiziani li tormentano. Ora va'! Io ti mando dal faraone. Fa' uscire dall'Egitto il mio popolo, gli israeliti!'" (Es 3, 1-10)

Leggendo questi versetti ci si può soffermare in primo luogo sull'identificazione del monte Oreb: Oreb è il nome del Sinai nella tradizione del nord (Elohista e Deuteronomista). Dal IV secolo la tradizione cristiana lo identifica con il Gebel Musa (Monte di Mosé) ai cui piedi sorge il monastero di Santa Caterina.

Il motivo del roveto ardente ha dato adito a molte interpretazioni: si è sostenuto ad esempio che può capitare che, dato il calore del sole nel deserto del Sinai, i cespugli prendano fuoco da soli. Ma nel brano che abbiamo esaminato si sottolinea come il roveto non si consumasse e questo, chiaramente, introduce un elemento sovrannaturale.

Interessante poi è il motivo di togliersi i sandali come segno di rispetto del luogo sacro (come avviene ancora oggi nelle moschee).

Dio si rivela come il Dio dei padri e affida a Mosé il compito di liberare il suo popolo dalla schiavitù per condurlo verso un paese che viene presentato come luogo ideale: l'espressione "un paese dove scorre latte e miele" è espressione stereotipa, che si trova soprattutto nella tradizione Jahwista e Deuteronomista (Es 3,17; 33, 3; Num 13, 27; 14, 8; ...). E' un'espressione che contrappone il deserto, luogo arido e infruttoso, alla terra feconda. Una formula di questo tipo è stata trovata ad Ugarit, nel mito di Baal dove si dice: "I cieli fanno piovere olio e i torrenti fanno scorrere miele" (cfr. Nuovissima Versione della Bibbia, Esodo, Edizioni Paoline, p. 67).

E Mosè diventerà veramente la guida del suo popolo.

Il libro dell'Esodo ricorda le fasi fondamentali della liberazione degli ebrei dalla schiavitù d'Egitto:

La tradizione parla di dieci piaghe d'Egitto perché vede nel bastone cambiato in drago non una vera piaga, ma un segno del potere che Dio ha dato a Mosè. Nel racconto delle dieci piaghe d'Egitto si possono trovare tratti ricorrenti, presenti in toto o in parte nelle varie sezioni: un lavoro interessante da fare in classe potrebbe essere quello di "smontare" il racconto delle diverse piaghe identificandone le sezioni. Le otto sezioni sono:

  1. l'ordine a Mosè da parte di Dio di minacciare al faraone l'invio della piaga
  2. la descrizione della piaga minacciata
  3. l'ordine di Dio per la realizzazione della piaga
  4. l'esecuzione del prodigio
  5. il tentativo dei maghi egizi di ripetere il prodigio
  6. l'incertezza del faraone che sembra piegarsi al volere di Jahvé
  7. la cessazione della piaga grazie alla preghiera di Mosè
  8. la durezza di cuore del faraone che non si piega al volere di Dio.

(lo schema proposto è ripreso da Nuovissima versione della Bibbia, Esodo, Edizioni Paoline)

Se esaminiamo, ad esempio, la sesta piaga, le ulcere, troviamo:

"Il Signore disse a Mosè e ad Aronne: ‘Procuratevi una manciata di fuliggine di fornace: Mosè la getterà in aria sotto gli occhi del faraone. (Terza sezione) Essa diventerà un pulviscolo diffuso su tutto il paese d'Egitto e produrrà, sugli uomini e sulle bestie, un'ulcera con pustole, in tutto il paese d'Egitto." (Seconda sezione) Presero dunque fuliggine di fornace, si posero alla presenza del faraone, Mosè la gettò in aria ed essa produsse ulcere pustolose, con eruzioni su uomini e bestie. (Quarta sezione) I maghi non poterono stare alla presenza di Mosè a causa delle ulcere che li avevano colpiti come tutti gli Egiziani (cfr Quinta sezione). Ma il Signore rese ostinato il cuore del faraone, il quale non diede loro ascolto, come il Signore aveva predetto a Mosè. (Ottava sezione)" (Es 9, 8-12) Ci si potrebbe soffermare, in particolare, a leggere in classe il Cantico di Mosé, Es 15, 1 – 18, un testo che appartiene ad un contesto liturgico e celebra con tratti epici la liberazione degli ebrei dalla schiavitù d'Egitto e la sconfitta degli egiziani. E' un cantico di difficile datazione, che probabilmente ingloba materiali diversi e nasce nell'ambito della celebrazione della Pasqua. La sua analisi può essere un utile spunto di riflessione sulle caratteristiche della poesia ebraica (che troviamo raccolta in particolare nel libro dei Salmi) e orientale in genere non basata sul numero delle sillabe o sulla quantità delle vocali, ma sulla ripetizione, sul parallelismo, sul ritmo. Il Cantico di Mosè, in particolare, è basato sul ritmo binario:

"Voglio cantare in onore del Signore,
perché ha mirabilmente trionfato,
ha gettato in mare
cavallo e cavaliere.
Mia forza e mio canto è il Signore, (ripresa)
egli mi ha salvato.
E il mio Dio
e lo voglio lodare, (ripresa con variazione)
è il Dio di mio padre
e lo voglio esaltare! (ripresa con variazione)
Il Signore è prode in guerra,
si chiama Signore.
I carri del faraone e il suo esercito
ha gettato nel mare (ripresa con variazione)
e i suoi combattenti scelti
furono sommersi nel Mar Rosso.
Gli abissi li ricoprirono
sprofondarono come pietra." (Es 15, 1-5)
(...)

(Dopo aver celebrato la potenza vittoriosa del Signore, il Cantico si conclude ricordando la sua premura nei confronti del suo popolo)

"Lo fai entrare e lo pianti
sul monte della tua eredità,
luogo che per tua sede,
Signore, hai preparato,
santuario che le tue mani,
Signore, hanno fondato.
Il Signore regna in eterno e per sempre!" (Es 15, 17-18)

Si fa quindi riferimento alla marcia attraverso il deserto verso la Terra Promessa sotto la guida di Jahvè, fino a Gerusalemme, fino al monte santo su cui sorgerà il tempio.

Della storia di Mosè è ancora utile ricordare due aspetti: in primo luogo le recriminazioni di cui è fatto segno da parte del popolo che l'ha seguito nel deserto e che soffre le fatiche del viaggio, la fame e la sete, giungendo a rimpiangere la terra d'Egitto. Mosè non dubita mai che il viaggio verso la Terra Promessa sia voluto da Dio e interviene a rincuorare il popolo divenendo tramite di eventi miracolosi, come l'episodio della manna (Es 16, 1-36) o quello dell'acqua fatta sgorgare dalla roccia a Refidim, luogo a cui Mosè dà nome di Massa (=prova) e Mèriba (=contestazione) (Es 17, 1-7).

L'altro elemento riguarda il fatto che Mosè non giungerà mai alla Terra Promessa, ma la vedrà soltanto da lontano. In effetti il lungo cammino del popolo ebraico nel deserto (potrebbe essere interessante studiare una cartina illustrante le diverse ipotesi a riguardo dell'itinerario percorso dagli ebrei) porta Mosè solo ai confini della terra di Canaan:

"Poi Mosè salì dalle steppe di Moab sul monte Nebo, cima del Pisga, che è di fronte a Gerico. Il Signore gli mostrò tutto il paese: Gàlaad fino a Dan, tutto Nèftali, il paese di Efraim e di Manàsse, tutto il paese di Giuda fino al Mar Mediterraneo e il Negheb, il distretto della valle di Gerico, città delle palme, fino a Zoar. Il Signore gli disse: ‘Questo è il paese per il quale io ho giurato ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe: Io lo darò alla tua discendenza. Te l'ho fatto vedere con i tuoi occhi, ma tu non vi entrerai!' Mosè, servo del Signore, morì in quel luogo, nel paese di Moab, secondo l'ordine del Signore." (Dt 34, 1-5)

Anche in questo caso l'uso di una carta geografica su cui riconoscere le varie parti della Terra Promessa può essere interessante e può risultare un utile esercizio per rafforzare negli studenti la consapevolezza della dimensione storica del testo biblico.

Bisogna però avere l'accortezza di chiarire agli studenti che dalla lettura del testo biblico, pur riscontrando molti elementi storici, non sempre è possibile identificare esattamente i fatti accaduti in una successione convincente: questo aspetto risulta evidente se si cerca di ricostruire l'itinerario dell'esodo. In effetti nel racconto, quale ci è pervenuto dalla Bibbia, sono confluite storie e tradizioni diverse, che il redattore finale non ha saputo (o voluto) armonizzare in modo definitivo. Come sostiene padre Piccirillo: "La molteplicità delle tradizioni tribali confluite nel racconto, non sufficientemente armonizzate nel processo letterario, rompono la direttrice unitaria dello schema geografico portante (delle storie dei patriarchi): da Harran al Canaan, all'Egitto; dall'Egitto al Canaan, attraverso la penisola sinaitica e la regione transgiordanica, fino alla sponda orientale del fiume Giordano. L'itinerario coerente e unitario, se non reale almeno fittizio, lungo una delle strade che univano l'Egitto alla Siria-Palestina, viene complicato da una serie di itinerari parziali e contradditori." (Michele Piccirillo, Il Grande Libro: il contesto storico e i luoghi, in Lungo i sentieri della Bibbia, Atti del Convegno dell'UCIIM tenutosi a Torino il 3 e il 10 febbraio 2004, a cura di Rosa Castellaro).

Mosè vede dall'alto del monte Nebo la Terra Promessa e sul monte Nebo muore. Il Signore gli aveva detto: "Tu morirai sul monte sul quale stai per salire e sarai riunito ai tuoi antenati, come Aronne tuo fratello è morto sul monte Or ed è stato riunito ai suoi antenati, perché siete stati infedeli verso di me in mezzo agli Israeliti alle acque di Mèriba di Kades nel deserto di Sin, perché non avete manifestato la mia santità. Tu vedrai il paese davanti a te, ma là, nel paese che io sto per dare agli Israeliti, tu non entrerai!" (Dt 32, 50-52)

Il Signore rimprovera a Mosè di aver avuto poca fiducia nella sua potenza a Mèriba, quando il popolo, assetato, aveva mormorato contro Mosè e contro Dio: sarebbe questa la colpa che gli impedisce di entrare nella Terra Promessa. In realtà, leggendo l'episodio di Mèriba (Es 17, 1-7) emerge più il timore di Mosè nei confronti di una sollevazione del popolo contro di lui che la sfiducia in Dio, ma bisogna dire che anche il timore di Mosè di essere lapidato può essere considerato un mettere in dubbio la protezione di Jahvè e il Suo potere. Esiste poi un'altra interpretazione della colpa di Mosè: l'antica legge ebraica ha una dimensione corporativa. La colpa del popolo ricade sul capo e la punizione dei sudditi coinvolge anche il capo. Dio, quindi, secondo il racconto biblico, punirebbe le infedeltà del popolo guidato da Mosè facendogli solo vedere da lontano quella Terra Promessa verso la quale per quarant'anni ha guidato il suo popolo.

La storia di Mosè, come abbiamo visto, è di nuovo la storia di un lunghissimo viaggio verso "il paese in cui scorre latte e miele". L'esodo è la liberazione dalla schiavitù d'Egitto e il passaggio alla condizione di popolo libero in cerca del luogo in cui stabilire la propria dimora, un luogo che, di nuovo, viene presentato con tratti ideali. Ma il cammino di Mosè che la Bibbia celebra come un grande profeta con il quale "il Signore parlava faccia a faccia" (Dt 34, 10) si conclude ai confini della Terra Promessa. Il luogo d'arrivo non c'è, o, meglio, c'è, ma rimane ideale.

Egitto – cammino nel deserto – (Terra Promessa)

Forse la storia di Mosè vuole sottolineare come la fedeltà a Dio porta a compiere la propria missione anche se il premio può sembrare non raggiunto: la Terra Promessa, allora, è compiere la volontà di Dio.

La lettura dell'Esodo può risultare interessante, quindi, per sottolineare come la dimensione storica e quella simbolica si mescolino nella Bibbia continuamente: come abbiamo già detto parlando dell'episodio di Melchisedek, è bene far toccare con mano agli studenti i diversi livelli di lettura del testo per allontanare quelle tentazioni fondamentalistiche che portano a letture piattamente letterali che risultano, in realtà, distorcere il significato vero del testo. L'esodo si è prestato in modo particolare a diversi livelli di lettura: la tradizione cristiana di cui si fa portavoce Dante nel Convivio e nell'Epistola a Cangrande riconosce addirittura quattro significati nella storia della liberazione degli ebrei dall'Egitto:

I VIAGGI DI SAN PAOLO

Se nell'Antico Testamento il movimento, il viaggio ha una dimensione centripeta, porta cioè verso la Terra Promessa, nel Nuovo Testamento il movimento è centrifugo: l'Evangelo, la buona novella, deve essere predicato a tutti e i primi apostoli si avventurano fin da subito sulle strade del mondo, diffondendo il messaggio trasmesso da Gesù. Risolto presto, con il cosiddetto concilio di Gerusalemme (At 15, 2-29), il problema del rapporto tra giudaismo e cristianesimo, non più richiedendo il passaggio attraverso il giudaismo (la circoncisione e l'osservanza della legge mosaica) ai nuovi cristiani, gli apostoli si dedicano alla predicazione ai gentili. Gerusalemme - e la Palestina -, pur conservando un ruolo d'importanza perché sede di una fiorente comunità cristiana e perché luogo che conserva la memoria della predicazione di Cristo (il legame degli avvenimenti della vita di Gesù con luoghi ben precisi, di cui la comunità conserva con affetto e dedizione il ricordo, è garanzia della storicità degli avvenimenti stessi: vedere i luoghi vuol dire essere certi che le vicende della vita di Gesù non sono frutto di fantasia), a poco a poco viene affiancata da altri luoghi in cui il messaggio cristiano trova terreno fertile: Damasco, Antiochia, le fiorenti città greche dell'Asia minore, la Grecia, Roma.

In questo mondo in movimento trova particolare rilievo l'opera missionaria di Paolo che si struttura in tre viaggi e che è oggetto del racconto del libro degli Atti degli apostoli oltre che spunto delle Epistole paoline (Romani, I – II Corinzi, Galati, Efesini, Filippesi, Colossesi, I – II Tessalonicesi).

Il libro degli Atti degli apostoli, in particolare, dopo aver raccontato l'episodio della lapidazione di Stefano (At 7, 55 – 8, 3) e ricordato che Saulo-Paolo era tra i persecutori dei primi cristiani e aveva approvato l'uccisione di Stefano, si sofferma sul famoso episodio della conversione di Saulo sulla via di Damasco, mentre si recava in quella città per perseguitare i cristiani (At 9, 1-19): la visione di quel Gesù che Saulo aveva perseguitato cambia totalmente la sua vita ed egli diviene "uno strumento eletto per portare il mio nome (sono parole del Signore apparso in visione ad un cristiano di nome Ananìa che viveva a Damasco) dinanzi ai popoli, ai re e ai figli d'Israele" (At 9, 15). La sua missione è quella di testimoniare Gesù a "tutti gli uomini" (At 22, 15). Comincia così la sua avventura missionaria di cui gli Atti degli apostoli narrano gli episodi più importanti (alcuni altri elementi possono essere tratti, come abbiamo detto, dalla lettura delle epistole paoline.

pentecoste
34 (o 36) Paolo è in Arabia subito dopo la conversione
36 (o 38) Paolo va a Damasco ma poi fugge e fa visita a Gerusalemme a Pietro e a Giacomo
37 fondazione della chiesa di Antiochia cui partecipa anche Paolo
46-48 primo viaggio di Paolo: Antiochia, Cipro, Antiochia di Pisidia, Listra, Antiochia
48 Paolo è a Gerusalemme per portare aiuti raccolti ad Antiochia per la comunità di Gerusalemme
48 concilio di Gerusalemme
49-52 secondo viaggio di Paolo: Listra, Frigia, Galazia, Filippi, Tessalonica, Atene (dove pronuncia il discorso dell'Aeropago), Corinto
52 compare davanti a Gallione, proconsole dell'Acaia, da cui viene prosciolto dalle accuse mossegli dai giudei; attraverso Efeso, arriva a Cesarea
estate 52 Paolo è a Gerusalemme e poi ad Antiochia
53-58terzo viaggio di Paolo: Galizia, Frigia, Efeso, Corinto, Macedonia, Filippi, Cesarea
58 Paolo viene arrestato nel tempio: condotto davanti al sinedrio, è portato a Cesarea davanti al governatore Felice
58-60Paolo è prigioniero a Cesarea: nel 60 compare davanti a Festo, nuovo governatore romano, e si appella a Cesare
60-61viene portato a Roma sotto custodia militare


Il lavoro che si può proporre in classe è quello di una rapida lettura degli Atti degli apostoli tenendo presente lo schema cronologico sopra proposto e avendo davanti agli occhi una cartina dei viaggi di Paolo: gli allievi dovranno così identificare le varie parti in cui emergono particolari storici nel racconto che possono servire a ricostruire gli avvenimenti della vita dell'apostolo.

La missione di Paolo non si interrompe con la prima prigionia a Roma: attraverso le lettere paoline si può pensare alla liberazione, ad un probabile viaggio in Spagna, a soggiorni ad Efeso, a Creta, in Macedonia, fino ad una nuova prigionia a Roma e alla morte per decapitazione nel 67. Di questi avvenimenti, però, gli Atti tacciono ed è sull'analisi degli Atti che è meglio appuntare l'attenzione degli studenti.

In effetti leggendo gli Atti degli apostoli si può cogliere lo spirito del primo cristianesimo e si può riflettere sull'incontro-scontro della nuova predicazione cristiana con il mondo giudaico e con il mondo pagano. Risulta così evidente, come già detto, lo spessore storico del racconto che certo è animato anche da intenti apologetici e talvolta riprende tratti di tradizione letteraria, ma non falsa mai gli avvenimenti storici: le testimonianze archeologiche che via via sono venute sempre più ampliandosi non hanno fatto che confermare il racconto degli Atti.

La predicazione ha diffuso il verbo cristiano lontano da Gerusalemme e dalla Palestina, la Terra promessa. Nella tradizione cristiana l'ideale utopico di "una terra in cui scorre latte e miele" si è a poco a poco disincarnato ed è stato proiettato in una vita futura:

"(Io Giovanni) vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che usciva dal trono:

‘Ecco la dimora di Dio con gli uomini!
Egli dimorerà tra di loro
ed essi saranno suo popolo
ed Egli sarà il <Dio-con-loro>.
E tergerà ogni lacrima dai loro occhi;
non ci sarà più la morte,
né lutto, né lamento, né affanno,
perché le cose di prima sono passate'." (Ap 21, 1-4)

Al di là delle letture che vedono nell'Apocalisse un testo che rilegge la redenzione ad opera di Cristo con le categorie dell'apocalittica, la tradizione quasi unanime ha visto nella Gerusalemme celeste l'immagine del Paradiso cui il cristiano spera di giungere dopo il viaggio terreno.

A questo punto il nostro percorso si può considerare concluso.

(la Bibbia viene citata nella versione ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana, utilizzando la Bibbia di Gerusalemme, Bologna, Edizioni dehoniane)