ISTITUZIONI MONASTICHE PIEMONTESI TRA I SECOLI VI E XIII.



Bibbia


I MONASTERI BENEDETTINI
a cura della dottoressa Rosanna Ferrarotti

PROPOSTA DIDATTICA PER U.d.A
I.INTRODUZIONE

Bibbia


La proposta, che può anche costituire una integrazione al manuale, intende soprattutto offrire allo studente l'opportunità di utilizzare alcune fonti documentarie per indagare un aspetto del Medioevo, quello del monachesimo occidentale.
Data l'ampiezza dell'argomento, è stata operata la scelta di assumere come oggetto della ricerca il monastero benedettino, di cui sono state individuate alcune tipologie, nell'arco di tempo compreso tra i secoli VI e XIII.
La proposta non è esaustiva ma si sforza di offrire elementi e strumenti documentari per la conoscenza e l'analisi del fenomeno indagato: l'obiettivo è metodologico più che informativo.
I contributi raccolti sotto il titolo II. LE ORIGINI indirizzano l'indagine sulle origini del monachesimo occidentale nel contesto storico e culturale determinato dalla crisi dell'impero romano e dall'affermarsi della societas christiana. La nascita del monastero viene esemplificata prima attraverso due fonti documentarie che pongono in evidenza l'aspetto "mitico" delle origini quindi, dalla leggenda e dal mito fondante, l'analisi si sposta, in III. I RAPPORTI DEL MONASTERO CON IL POTERE POLITICO, alla realtà indagata attraverso tipologie di atti di fondazione, con lo scopo di individuare i soggetti che concorrono alla formazione dei monasteri. Sono esaminati i rapporti tra il monastero e il potere politico e il significato della protezione laica.
Sotto il titolo IV. I RAPPORTI GERARCHICI ALL'INTERNO DELLA COMUNITA' sono raccolte tipologie di documenti che illustrano l'organizzazione del monastero, le regole, gli statuti, le funzioni, i collegamenti con le altre comunità, i rapporti dei monaci tra di loro e nei confronti dell'esterno.
La formazione della grande proprietà religiosa e la sua gestione sono l'oggetto di V. L'AMMINISTRAZIONE, con una esemplificazione di documenti che attengono a inventari di beni e a contratti agrari.
In VI. LA CULTURA si forniscono materiali per un approccio di analisi del monastero come polo di vita culturale attraverso l'esemplificazione di alcuni documenti riguardanti la biblioteca, il libro, la scuola.
I vari link dovrebbero agevolare le operazioni di informazione e di collegamento, rispondendo in modo sintetico ad alcune curiosità e contemporaneamente consentire allo studente una visione non parcellizzata del fenomeno indagato.
La tipologia dei modelli documentari proposti costituisce un riferimento per il docente; la quantità e varietà, indispensabili per una corretta operazione di ricostruzione storica, possono ovviamente essere ampliate.
La proposta si avvale in gran parte di documenti che provengono dall'Archivio di Stato di Torino. Nei suoi fondi specifici sono reperibili molti documenti su fondazioni monastiche che il docente e lo studente potranno eventualmente consultare.
La scheda di lavoro che accompagna il singolo documento ha carattere esemplificativo e suggerisce un possibile itinerario di lettura.
La proposta, pur caratterizzandosi come un'attività di storia, sollecita approcci, riferimenti e collegamenti con altre discipline.
II. LE ORIGINI
"Nel IV secolo, quando Costantino lo sottrae all'ombra della clandestinità e dall'illegalità, il cristianesimo si afferma definitivamente come la grande novità religiosa e ideologica dell'Occidente medievale.Una novità di cui gli imperatori del IV e V secolo si servono per puntellare la coesione interna dello spazio imperiale mediterraneo, minato da ricorrenti crisi militari e istituzionali. Ma la divisione dell'Impero in due parti, una occidentale facente capo a Roma, l'altra orientale facente capo a Costantinopoli, ha messo in moto un processo inarrestabile di lacerazione dell'antica unità politica e culturale. E, caduta la parte occidentale dell'Impero, a poco a poco anche il cristianesimo comincia a dividersi: si formano un cristianesimo latino in Occidente e un cristianesimo greco in Oriente. [...] A est troviamo un mondo bizantino fastoso, conservatore delle eredità antiche [...] A ovest sta un mondo diviso, imbarbarito, mal unificato dalle sue due teste – il papa e l'imperatore – ma che conoscerà una straordinaria fioritura economica, politica e culturale, e avvierà un'espansione sempre più vittoriosa: la cristianità latina. In Occidente, l'Impero romano non sopravvive all'invasione e all'insediamento dei popoli, soprattutto germanici, nonché alla destrutturazione di un'economia monetaria a lungo raggio d'azione, alla crisi urbana, alla ruralizzazione dell'economia e della società, alla pauperizzazione delle masse, e infine alla crisi di valori e di civiltà che accompagna il declino della cultura antica e la diffusione del cristianesimo". (Jacques Le Goff, Il Medioevo. Alle origini dell' identità europea, Ed. Laterza, Bari 2001).
Nel contesto di generale disordine e violenza che caratterizza il regno di Odoacre, la venuta degli Ostrogoti e il lungo periodo della guerra greco-gotica il monachesimo appare come una forza equilibrata e costruttiva. Monachesimo irlandese e monachesimo benedettino segnano profondamente la società europea diventando punto di riferimento in un mondo in cui le strutture politiche e sociali si stanno inesorabilmente deteriorando.
Benedetto da Norcia è l'interprete più alto del monachesimo che ha come ideale la ricostruzione di una società fondata sull'amore, sulla solidarietà, sulla preghiera, sull'uguaglianza sociale, sul lavoro.
"Il monachesimo medievale oscillò tra due poli: un polo penitenziale, che attribuiva una grande importanza al lavoro manuale sia come forma di penitenza sia come mezzo che permetteva di raggiungere l'autosufficienza economica, e quindi di evitare i contatti con l'esterno [...] e un polo liturgico, che privilegiava l'opus Dei, il servizio di Dio, le funzioni, le preghiere, il lusso delle cerimonie che rendevano omaggio a Dio: un campo in cui eccelse Cluny.
Tra questi due poli i benedettini seppero per lungo tempo mantenere in equilibrio i due piatti della bilancia: il lavoro manuale e l'opus Dei, l'attività economica e il lavoro intellettuale e artistico.
[...] L'organizzazione monastica fornì inoltre dei modelli per la misurazione e il dominio del tempo. La divisione della giornata in ore canoniche segnate dai differenti uffici è un esempio di scansione del tempo offerto alla vita quotidiana; e la comparsa delle campane, che si diffondono nel VII secolo, farà vivere per secoli la cristianià al ritmo di quello che è il tempo della Chiesa." (J.Le Goff op.cit.)
Una ricca e varia bibliografia, spesso caratterizzata da studi ampi e rigorosi, analizza le comunità religiose dell' Alto Medioevo.
Molti presentano la storia della fondazione dei monasteri considerandola dall'angolatura del potere politico ed economico, altri ne evidenziano gli aspetti sociali e culturali, altri ancora attribuiscono all'esigenza di preghiera e di elevazione spirituale il motivo della loro nascita.
La tradizione mitica delle origini.
S. Pietro di Novalesa
Nel 726 Abbone fonda l'abbazia della Novalesa. La storia del cenobio vive lo splendore dell'età carolingia, l'invasione saracena, il trasferimento in Lombardia, la trasformazione, il ritorno.
La sua storia è narrata da un anonimo cronista, monaco dell'abbazia, che nel 1060 circa scrive il componimento noto come Chronicon Novaliciense (Cronaca dell'Abbazia di S.Pietro di Novalesa).
Si tratta di un rotolo di pergamena, formato da 28 fogli cuciti uno di seguito all'altro, e comprende 5 libri, parte dei quali è andata irrimediabilmente perduta. E' conservato nell'A.S.T. L'edizione moderna a cui si fa riferimento in questa sede è quella curata da G.C.Alessio, Einaudi, 1982.
Il monaco novalicense racconta la storia del suo monastero arricchendola di particolari fantastici e di aneddoti: la rivisita cioè facendone un racconto prodigioso ed edificante. La realtà diviene subalterna alla leggenda. "Ma l'immagine che del cenobio essa ci offre non è (o non è soltanto) il risultato del gioco fra la traccia più debole del ricordo storico e il lavoro di pura fantasia. V'è, nell'appello al prestigio del passato il recupero consapevole di una tradizione in funzione di interessi precisi di propaganda dell'istituzione, che prende spunto e s'inserisce nel più ampio e intenzionale ricupero e strumentalizzazione ideologca delle tradizioni carolinge [...] La cronaca si fa storiografia militante" (G.C.Alessio, op. cit.)
Sotto le coloriture vivaci e fantastiche lo studioso vi trova materiali straordinari per la conoscenza della cultura religiosa, della politica, dell'economia, della toponomastica, della letteratura, dell'arte, della mentalità.
DOC. 1
Cronaca dell'Abbazia di S. Pietro di Novalesa, 1060 ca.
Rotolo membranaceo, cm. 8,5 (11) x 1170
A.S.T., Corte, Museo storico foto
Libro I, Cap. 4
"[...] fra gli altri membri della famiglia di Nerone che avevano abbracciato la fede cristiana e la legge evangelica v'era una matrona romana nobile e ricca, parente, anzi, dell'imperatore, di nome Priscilla, la quale, conoscendo l'intenzione di Cesare, che era di sterminare i Cristiani e di cancellare dalla faccia della terra la gloria dei Cristiani e il santo nome di Gesù Cristo, con un onorevole pretesto si ritirò in Piemonte, nella città di Susa, presso Burro, suo parente e governatore di tutto il Piemonte (e, come si crede, suo fratello), grande protettore dei Cristiani e cristiano egli stesso. Partendosi da Roma , ella condusse con sé un folto gruppo di persone segretamente cristiane, fra cui v'erano due uomini apostolici di nome Elia e Mileto, che fin dalla Palestina avevano seguito a Roma san Pietro apostolo. [...] Priscilla e la santa compagnia giunsero a Susa, dove furono i benvenuti e accolti cortesemente da Burro e dai cittadini di Susa [...] Vi soggiornarono per qualche tempo, fino a che presero conoscenza del paese: trovarono allora molto gradevole la valle della Novalesa, subito vicina (e i suoi abitanti cortesi e benevoli, e d'una bontà spontanea e di piacevole aspetto) e adatta a ritirarvisi per attendere al servizio di Dio. Elessero dunque la detta valle per farne loro dimora e, non meno cortesemente che in Susa, furono ricevuti dai suoi abitanti, che li accolsero nel loro numero come liberi cittadini del paese, li resero partecipi dei loro fondi e beni e li nutrirono convenientemente, fornendoli di tutto quanto era necessario per il loro sostentamento; e poiché erano stati condotti lì dallo Spirito Santo per la salvezza di quella regione, da genti apostoliche quali erano, che vivevano in terra col corpo e con lo spirito in cielo, essi si scelsero un luogo remoto della regione, dalla parte del mezzogiorno, ai piedi di una foresta grande e su di una costa lontana dal passaggio degli stranieri, dove c'era una torre alta e possente e senza dubbio delle abitazioni nei dintorni. Tutto questo fu loro elargito dai Nemaloni (probabili abitanti della zona di Barcellonette, n.d.traduttore), che di buon grado cedettero senza riserva il luogo e continuarono a fornire ogni cosa che fosse necessaria per il loro sostentamento.
[...]Quando vennero a sapere della morte (di San Pietro) innalzarono una chiesa in suo onore e la chiamarono chiesa di San Pietro apostolo, e tutt'oggi essa ne conserva il nome. Dopo che i santi romani si furono stabiliti là [...] mutarono il nome degli abitanti del luogo e chiamarono il paese ‘Novalicio' e gli abitanti ‘Novaliciensi' per indicare il luogo e gli uomini della nuova legge e della nuova luce".
SCHEDA DI LAVORO
  1. Perché, secondo te, il cronista attribuisce la fondazione dell'abbazia a un gruppo di cristiani fuggiti da Roma?
  2. A quale momento storico e a quali avvenimenti si riferisce la frase "l'intenzione di Cesare era di sterminare i Cristiani..."?
  3. Perché il cronista insiste sull'accoglienza degli abitanti di Novalesa?
  4. La data della fondazione dell'abbazia, anno 726, viene spostata dal cronista al I secolo. Quale può essere, a tuo parere, il motivo per cui la data è stata anticipata?
S.Michele della Chiusa
Alla fine del X secolo, presumibilmente tra il 983 e il 987, nasce, dalle esigenze della cultura del pellegrinaggio, l'abbazia di S. Michele della Chiusa. La fonda, sul monte Pirchiriano, all'imbocco della Val di Susa, un aristocratico francese, Ugo di Montboissier.
Di fronte al Pirchiriano, sul monte Caprasio, esisteva all'epoca una piccola comunità eremitica guidata dal monaco Giovanni Vincenzo. Oscurata dal prestigio della più potente abbazia, essa scomparve ben presto ma il culto e il ricordo del santo eremita restò vivo tra le popolazioni della valle. E fu allora che i monaci di S. Michele assorbirono nella loro tradizione la figura di Giovanni Vincenzo e inserirono la sua storia nella leggenda della fondazione del monastero.
Il documento che segue è un disegno, copia di un affresco più antico, oggi perduto, che si trovava sulle pareti dell'abbazia. Racconta, in sequenza, la leggenda della fondazione: all'eremita appare in sogno l'arcangelo S. Michele che lo invita a costruire un monastero. Il santo inizia l'opera, ma durante la notte angeli e colombe trafugano il materiale e lo trasportano sul monte di fronte, il Pirchiriano, scelto da Dio come sede della nuova comunità monastica.
DOC. 2
Piano del modo miracoloso col quale è stato costrutto il monastero di S. Michele della Chiusa
Disegno, fine sec. XVI
A.S.T., Corte, Materie Ecclesiastiche, Abbazie, S. Michele della Chiusa, m.1, fasc. 2

Dati per la lettura del documento: foto1, foto2, foto3, foto4
SCHEDA DI LAVORO
Elementi da osservare:
Parte sinistra:
Parte centrale:
Parte destra:
III. I RAPPORTI DEL MONASTERO CON IL POTERE POLITICO. ATTI DI FONDAZIONE. PROTEZIONE LAICA
Alla formazione delle comunità monastiche concorsero persone diverse. I documenti di fondazione consentono di individuare fondazioni vescovili e fondazioni laiche: queste ultime risultano essere le più diffuse, a opera di sovrani o di famiglie signorili. E' quest'ultima la tipologia presa in considerazione nella presente proposta didattica.
"Le famiglie aristocratiche fondavano monasteri per munire di punti di riferimento concreti ed efficaci il loro controllo territoriale: proteggendo i monasteri, immettendo in essi propri membri, le grandi famiglie mostravano di non considerarli affatto luoghi separati dal mondo, ma anzi centri di organizzazione del consenso. I monasteri erano luoghi importanti per la religiosità popolare: presentarsi come loro protettori procurava legittimazione a poteri signorili in cerca di assestamento. Inoltre le famiglie signorili rimediavano alla dispersione, causata dalla ramificazione, appunto mantenendo l'identificazione in comunità monastiche: collocare nei monasteri membri di diversi rami, promuovere in essi occasioni varie di incontro erano comportamenti correttivi della dispersione, mantenevano una consapevolezza unitaria in gruppi familiari ampi e frastagliati" (G. Sergi, L'idea di Medioevo. Fra storia e senso comune, Donzelli Ed., 2005)
I documenti 3 e 4 costituiscono esempi di fondazioni laiche.
DOC. 3
Abbone, rettore di Moriana e di Susa, nomina Godone abate del monastero dei S.S. Pietro e Andrea da lui fondato in Novalesa definendone le attribuzioni, 30 gennaio 726
Pergamena, cm. 64 x 51 foto
A.S.T., Corte, Materie Ecclesiastiche, Abbazie, S. Pietro di Novalesa, m.1, Museo
Abbone è rector di Moriana e di Susa, ha nella zona responsabilità pubbliche; è membro di una ricca e importante famiglia franca legata a Carlo Martello: esponente quindi dell'aristocrazia dominante ed è questa sua posizione sociale a determinare l'interessamento carolingio per l'abbazia.
Redatto in forma solenne, l'atto viene sottoscritto oltre che da Abbone da quattro vescovi, due abati, un arcidiacono e altri chierici.
L'analisi dello studente è indirizzata a una parte del documento (C.Cipolla, Monumenta Novalicensia vetustiora)
"Abbone, rettore di Maurienne e di Susa [...] avendo edificato nel territorio susino un monastero dedicato ai santi Pietro e Andrea, ponendovi ad abbate Godone, col consenso dei vescovi, principi e abati, e dei cleri di Maurienne e di Susa, concesse al detto monastero che né egli stesso, né i suoi successori, né persona alcuna dei cleri indicati abbia autorità sul monastero stesso, salvoché quella di dare, sopra richiesta, le ordinazioni e le benedizioni ai preti, ai diaconi e agli altari; [...] procedano i monaci della Novalesa col monastero di'Viceria' nel territorio di Grenoble in guisa, che se, morto l'abbate di uno dei due monasteri, non vi si trovasse persona degna a surrogarlo, si trascelga nell'altro monastero; egualmente se un monaco di uno dei due monasteri commette scandalo, vada nell'altro a far penitenza, com'è pur detto nel privolegio del monastero di ‘Viceria'; sorgendo discordia in uno dei due monasteri, l'altro monastero richiami e punisca l'errante..."
SCHEDA DI LAVORO foto
  1. Perché Abbone si preoccupa di esentare i suoi monaci, entro i limiti consentiti, da ogni autorità laica e religiosa?
  2. Quali ritieni fossero i rapporti tra il monastero di Novalesa e quello di Viceria presso Grenoble?
  3. Quali sono i casi, previsti dal documento, in cui si attuano azioni di mutuo soccorso, collaborazione e amicizia tra i due monasteri?
  4. Osserva la cartina:


DOC. 4
Il vescovo di Asti Alrico, suo fratello il marchese Olderico Manfredi e la contessa Berta, moglie del suddetto marchese, fondano il monastero di S.Giusto di Susa e gli donano un terzo dei loro beni nella valle, 9 luglio 1029
Pergamena cm. 75 x 50
A.S.T., Corte, Materie Ecclesiastiche, Abbazie, S.Giusto di Susa, m. 1, Museo
L'atto di fondazione è lungo e dettagliato e viene steso dal notaio alla presenza di autorevoli testimoni nel corso di una solenne cerimonia.
Si riportano alcuni brani del documento:
"Per amore e timore di Dio vogliamo costruire un monastero dove esista per sempre un gruppo di monaci i quali di giorno e di notte preghino per noi, per i nostri genitori, per i nostri figli e le nostre figlie [...] per tutti i parenti di ambo i sessi, così anche per i nostri fedeli vivi e morti, affinché esse giungano al Creatore ed egli nella sua clemenza cancelli le nostre colpe, ci faccia perseverare nelle buone azioni e ci renda partecipi della vita eterna, insieme ai santi"
[...]
"fermamente ordiniamo che in nessun modo questo monastero passi sotto il controllo di qualche vescovo, di qualche altro monastero o di qualsiasi altra persona"
[...]
"dopo la nostra morte, se avremo lasciato un figlio maschio nato dal nostro matrimonio, a lui sia concesso il diritto di designare l'abate. E dopo il primo, il secondogenito, e dopo il secondo il terzo, e così uno dopo l'altro abbiano questo diritto"
(Nota: l'atto elenca con cura meticolosa il passaggio del diritto alla linea femminile nel caso vengano a mancare anche pronipoti maschi)
[...]
"abbiamo eletto e consacrato abate un monaco di nome Domenico, devoto a Dio e degno della misericordia di Cristo, conoscitore della regola, il quale, avendo condotto fin dall'infanzia la vita monastica, dimostra di essere preparato e nutrito di questa dottrina".
SCHEDA DI LAVORO
  1. Analizza i brani del documento e confrontali con il testo iniziale di G.Sergi e il seguente di C.H.Lawrence. Quali aspetti caratteristici delle fondazioni private elencate dai due storici vi ritrovi? (sentimento religioso, valore della preghiera estesa ai vivi e ai defunti, organizzazione del consenso, legittimazione del potere, coesione del gruppo familiare, controllo dei possedimenti donati, diritto di eleggere l'abate...)
  2. Quale significato hanno i ripetuti riferimenti alla dinastia e la menzione esplicita degli avi e dei parenti dei fondatori?
  3. Per quale motivo i fondatori di S.Giusto eleggono come abate il monaco Domenico? Quali caratteristiche ne fanno la persona adatta all'incarico?
  4. Che cosa può significare il fatto che l'abate ha condotto la vita monastica fin dall'infanzia?
Privilegi e dotazioni
La concessione di immunità fiscali e di privilegi è espressa, nei documenti imperiali e signorili, con formule complesse, in cui si mescolano senso religioso e politica. Lo scopo principale è quello di salvare l'anima del benefattore e quella dei parenti (pro bono animae, pro remedio animae).
"I regnanti medievali condividevano con il loro popolo le comuni credenze dottrinarie sull'economia della salvezza. Il merito che proveniva a un individuo dalla preghiera e dalle buone opere poteva essere applicato ad altri, e non solo a persone viventi, ma anche ai morti. Fondare e
fare donazioni a una comunità di monaci significava assicurare al donatore un patrimonio incessante di intercessioni e sacrifici che sarebbero serviti a lui e ai suoi parenti sia in vita che dopo la morte." (C.H.Lawrence, Il monachesimo medievale. Forme di vita religiosa in Occidente, San Paolo Ed., Milano 1993)
I documenti ci dicono che Carlomanno, Carlo Magno, Lotario proteggono con diplomi la fondazione dell'abbazia di Novalesa.
Il documento di cui è riportata la fotografia è uno dei primi di una lunga serie di donazioni e privilegi concessi dai sovrani carolingi all'abbazia. In esso il re dei Franchi Carlomanno rende noto ai vescovi, abati, conti, vicari, messi che, su richiesta dell'abate novalicense Asinario, ha concesso al monastero l'esenzione del teloneo (tassa sul transito delle merci) e di altre imposte. Il riconoscimento di immunità, l'esenzione dai pedaggi, la protezione commerciale costituiscono la base della successiva ricchezza e potenza dell'abbazia.
foto
DOC. 5
Diploma di Carlomanno, re di Francia, di esenzione da ogni diritto di pedaggio a favore dei monaci di S.Pietro della Novalesa, Ottobre 769
Pergamena, cm. 22 x 63
A.S.T., Corte, Museo storico
La Cronaca di Novalesa cita un lungo soggiorno di Carlo Magno nell'abbazia.
Sceso in Italia per combattere i Longobardi "dopo aver occupato coi suoi tutta la valle di Susa, il re [...] giunse al famosissimo cenobio novalicense, dove si fermò tanto a lungo da consumare in cibo tutti i beni e le provviste dei monaci. Non vi si tratteneva senza ragione: in quei giorni il monastero era eccezionalmente opulento, pieno d'ogni ricchezza e dal suo santissimo abate provvidamente era stato disposto" (Libro III, 8)
Ancora la Cronaca riferisce la presenza nel monastero del figlio di Carlo Magno, Ugo, che fu monaco e poi abate.
Con un testamento articolato e minuzioso Abbone nel 739 lascia all'abbazia di Novalesa i suoi beni: un vastissimo territorio al di qua e al di là delle Alpi con campi, vigne, pascoli, boschi, cascine, coloni liberi e servi.
Nella Cronaca troviamo una "rivisitazione" del testamento che si colloca, ancora, nell'alveo della fondazione mitica.
DOC. 6
Cronaca dell'Abbazia di S.Pietro di Novalesa, 1060
Rotolo membranaceo, cm 8,5 (11) x 1170
A.S.T.,Corte, Museo storico
Libro II, Cap. 18
"Quell'uomo illustrissimo e del tutto informato a Dio nei pensieri e nelle azioni che fu il più volte ricordato patrizio, quando, con piena donazione concesse al beato Pietro e al monastero novaliciense parte delle sue ricchezze, terreni, servi e ancelle e, come sopra abbiamo detto, lo istituì suo erede con animo devoto, temendo che nello scorrere lungo degli anni il monastero fosse talora devastato da una qualsiasi gente-il che, ahimè, leggiamo essere avvenuto per ben tre volte- comandò che con marmi bianchissimi e con pietre di diverso genere fosse innalzato nella città di Susa , contro il lato esterno delle mura, un arco di mirabile bellezza e altezza, sotto il quale si prendeva la strada con cui si andava, seguendo l'acquedotto, fino alla fortezza di Vienne. Su di esso, e da entrambi i lati, fece iscrivere quali beni e in quale misura aveva lasciato, nella stessa città e in tutta la valle, al beato Pietro, suo erede, in modo che, qualora fosse avvenuto che per invidia o istigazione del diavolo, il monastero venisse distrutto, i monaci che avessero voluto tornarvi per abitare e per riedificarlo, sapessero, leggendolo sull' arco, quali possedimenti dovessero spettare a quel luogo. E per questo ancora volle quel padre attentissimo far iscrivere l'arco di cui si disse, perché, quanta più gente leggesse l'iscrizione, tanto meno venisse occultata la gloria del monastero; cioè, perché coloro che dall'Italia erano in cammino verso la Gallia avessero sopra di sé, ben squadernata dinanzi agli occhi, quella scritta; e similmente, perché coloro che dalla Gallia prendevano la strada verso l'Italia avessero dall'altra parte dell'arco di che poter leggere, e perché, infine, i monaci del cenobio stesso sempre sapessero che cosa egli vi aveva un tempo lasciato. Ordinò che le medesime iscrizioni fossero poste in tutte le corti e villaggi, dove rimangono fino ai nostri giorni."
SCHEDA DI LAVORO
Nota
L'Arco di Susa fu eretto nel 13 a.C. a ricordo dell'alleanza tra Augusto e Cozio.
Nell'iscrizione erano riportati i nomi delle popolazioni soggette a Cozio. Posta su entrambe le facciate dell' Arco la scritta poteva essere letta sia dal viaggiatore diretto verso la Gallia sia da quello che ne proveniva. Le lettere bronzee che la componevano furono asportate dai barbari; è stata ricostruita seguendo i segni dei fori e degli incavi lasciati dalle lettere.
  1. Confronta la descrizione che il cronista fa dell'Arco di Susa con una sua immagine: ti sembra veritiera? Questo che cosa può significare?
  2. Nel suo testamento Abbone elenca minuziosamente i beni che lascia all'abbazia di Novalesa. Perché l'autore della cronaca definisce come possedimenti di Abbone i territori in realtà governati da Cozio?
  3. Come spieghi la preoccupazione del cronista di sottolineare la necessità che la dotazione di Abbone fosse resa nota a molti e in luoghi diversi?
Numerose sono le attestazioni di donazioni private.
Maria, figlia di Maginario, dona all'abbazia di Novalesa alcuni suoi possedimenti in Savoia (1036); Pietro Salnerio e sua moglie Margarita donano al monastero di S. Giusto una casa per lire 31 di Susa (1217); Pietro Granatero lascia nel testamento disposizioni perché i suoi beni vengano dati al monastero suddetto per "pane e mantenimento di un confratello" (1282).
I documenti citati sono reperibili presso l'A.S.T.
IV. I RAPPORTI GERARCHICI ALL'INTERNO DELLA COMUNITA'. LA GESTIONE DEL QUOTIDIANO
La Regola benedettina
Nella stesura della sua Regola S.Benedetto si ispirò a fonti coeve e precedenti, che egli elaborò in modo personale.
Composta da un Prologo e da 73 Capitoli la Regola definisce nei minimi particolari l'organizzazione della comunità monastica. I principi fondamentali sono tre: la stabilità, che esclude l'usanza del monaco girovago imponendo la vita fissa nel monastero; l'orario: il rispetto per il tempo, parte importante della vita e dono di Dio, si concretizza in precise disposizioni che stabiliscono orari per la preghiera, per la lettura sacra, per il lavoro, per il riposo; l'uguaglianza per tutti nei diritti e nei doveri: in un'epoca dilaniata dall'odio e dalle guerre S.Benedetto chiede pace e riconciliazione tra latini e barbari.
La genialità della Regola benedettina sta nell'autorità, la forza unitaria che fa del monastero un organismo funzionante in modo perfetto. Il principio dell'ordine che regna nel monastero è infatti l'autorità paterna del suo capo, l'abate, che si esprime però nella caratteristica della discretio. L'autorità è principio di vero ordine perché rispetta la persona, ne comprende le doti e le debolezze: è "discreta". L'autorità richiama l'obbedienza: nell'accettazione docile della volontà dell'abate il monaco è protetto dall'orgoglio spirituale e dall'autocompiacimento. L'abate è maestro, confessore, guida spirituale; come pastore della comunità è responsabile di tutti i suoi monaci e la Regola lo mette in guardia continuamente contro la tentazione di esercitare la sua autorità in modo tirannico o troppo duro e lo invita a considerare se stesso, nell'esercizio del potere, non un padrone ma un servo, un padre che deve farsi amare più che temere.
L'abate è scelto dai suoi confratelli e governa con l'aiuto di collaboratori addetti a vari uffici, tutti conferiti da lui e a lui direttamente sottomessi.
Il motto benedettino Ora et labora sintetizza l'ideale di vita nel monastero.
La Regola di S.Benedetto ha il suo futuro nei monasteri a nord delle Alpi, nei regni germanici e soprattutto in Gallia dove s'incontra con altre Regole, non sempre ben codificate, presenti nelle varie comunità.
La Regola di S.Colombano, molto rigida e austera, a contatto con quella di S.Benedetto si mitiga, dando origine a una "Regola mista" seguita nei monasteri della Gallia e in quelli iberici del VII secolo.
Nel IX secolo la Regola benedettina diventa l'unico modello di osservanza monastica: sotto il regno di Ludovico il Pio essa è infatti applicata nei monasteri di tutti i domini carolingi a nord delle Alpi.
La preghiera del monaco
Il primo impegno del monaco benedettino è la preghiera fatta in comune, il canto in coro del servizio divino, che Benedetto chiama opus Dei. Suddivisa in otto uffici recitati in precise ore del giorno, la preghiera inizia nella notte, tra le due e le tre, con il canto dell'ufficio di Notturno (o Mattutino); seguono le Lodi, alle prime luci dell'alba, quindi gli uffici di Prima, Terza, Sesta e Nona ora durante il giorno, a brevi intervalli l'uno dall'altro; seguono i Vespri, l'ufficio della sera, e Compieta, quello del tramonto. Nell'arco della settimana è recitato l'intero Salterio, che comprende 150 Salmi, nelle varie forme della salmodia: alternarsi di due cori, solista e coro, solo coro.
All'obbligo della preghiera si accompagna quello della meditazione e della lettura sacra, che Benedetto definisce lectio divina.
L'orario estivo prevede 7 ore di lavoro e 3 di lettura; in inverno è accorciato il tempo dedicato al lavoro e allungato quello della lettura.
DOC.7
Regola di S.Benedetto
II – Qualis debeat esse abbas
  1. Abbas nihil extra praeceptum Domini quod sit debeat aut docere aut constituere vel iubere,
  2. sed iussio eius vel doctrina fermentum divinae iustitiae in discipulorum mentibus cospargatur,
  3. memor semper abbas quia doctrinae suae vel discipulorum oboedientiae, ultrarumque rerum, in tremendo iudicio Dei facienda erit discussio
23. In doctrina sua namque abbas apostolicam debet illam semper formam servare in qua dicit:
Argue, obsecra, increpa,
24. id est, miscens temporibus tempora, terroribus blandimenta, dirum magistri, pium patris
ostendat affectum
V – De oboedientia
16. Et cum bono animo a discipulis praeberi oportet, quia hilarem datorem diligit Deus



VI –De taciturnitate

6. Nam loqui et docere magistrum condecet, tacere et audire discipulum convenit

7. Et ideo, si qua requirenda sunt a priore, cum omni humilitate et subiectione reverentiae

requirantur.



SCHEDA DI LAVORO
Bibbia




I brani della Regola sono proposti nel testo originale. Lo studente può eseguirne la traduzione.
Un esempio di organizzazione di un monastero
La complessità dell'organizzazione di un monastero richiedeva una complessa suddivisione di compiti: ogni mansione affidata dall'abate era chiamata oboedientia e il monaco che l'esercitava era detto oboedientiarius.
Un esempio significativo dell'organizzazione di un monastero benedettino e dei rapporti gerarchici al suo interno è offerto dal documento che segue.
DOC. 8
Statuti fatti dall'Abate Wala pel buon reggimento del Monastero di S.Colombano di Bobbio , 833 circa
Pergamena
A.S.T., Corte, Materie Ecclesiastiche, Abbazie, S.Colombano di Bobbio, cat. 1^, m.1, n.9
"Statuti fatti dall'abate Vuala pel buon reggimento del monastero di San Colombano di Bobbio" circa 833

Archivio di Stato di Torino

Corte, Materie ecclesiastiche, Abbazie, San Colombano di Bobbio, cat I' - mazzo l, n. 9.

Traduzione



(...) Il primo preposto venga dopo l'abate nel monastero, dentro e fuori, e queste siano le cose su cui princi­palmente abbia potere e cioè tutto quanto riguarda i lavori dei campi, delle vigne e degli edifici, sui vasari, pa­stori e tutti gli altri monasteri esistenti in questa valle, ad eccezione di quelli che sono attribuiti alle competen­ze di altri frati, sia tutte le corti (...) che riguardano il compenso, cavalli domiti e selvaggi, ed egli attribuisca le mansioni nel monastero, secondo la necessità.



Il decano abbia soprattutto cura, dentro e fuori, della conversazione dei frati e sia quotidianamente in obbe­dienza con loro e, nel caso manchi l'abate o il preposto, tutto sia di sua competenza.



Il custode della chiesa provveda ai lumi e ad ogni ornamento della stessa, abbia competenza sugli orari e riceva le elemosine giunte ai frati.



Il bibliotecario abbia cura di tutti i libri, letture liturgiche e altri scritti.



Il custode delle carte abbia cura di tutte le testimonianze scritte dei diritti del monastero.



Il cellerario provveda a tutto ciò che riguarda il cibo e le bevande dopo che siano state portate nel monaste­ro, ad eccezione del pane e della frutta e li distribuisca; a lui faccia riferimento tutto ciò che avviene nel refet­torio e nella cucina.



Il cellerario della famiglia provveda alle bevande dei sottoposti al preposto.



Il cellerario giuniore si occupi del refettorio e delle stoviglie.



Il custode del pane provveda alla quantità di grano dopo che esso sia giunto al monastero, ai pani e ai mugnai.



Il portiere riceva per primo tutti gli ospiti e li annunci, riceva le decime di tutto e di esse, secondo quanto stabilito, destini la quantità per l'ospedale dei poveri.....



Gli ospitalieri dei religiosi ricevano coloro che debbono venire in refettorio e ricevano ugualmente coloro che risiedono nell'ospedale.



L'ospitaliero dei poveri li riceva e si prenda cura di loro e riceva per loro i soldi dal portiere.



Il custode degli infermi provveda a loro con i suoi aiutanti.



Il cantore abbia cura di tutto ciò che attiene al canto.



Il primo cameriere si occupi di tutti i vestiti e dei panni per i diversi usi dei frati e delle scarpe e dei guanti e si occupi dei confezionatori di scarpe e vestiti e dei conciatori di pelli e dei calderai, ripartisca il loro lavoro e gli spazi assegnati alle attività e nei riguardi di questi le cose dette sono da esigere, (si occupi) di tutti i vasi di bronzo (o di rame) che sono stati dati in uso ai frati.



Il cameriere dell'abate abbia cura di tutti i fabbri, fabbricatori di scudi, di selle, gli addetti ai tomi, i fabbri­canti di pergamene, forgiatori, e provveda a tutti gli arnesi.



Il preposto giuniore sopraintenda a tutti i lavori e a tutti gli operai, meno quelli che sono destinati a lavora­zioni differenti.



Il maestro carpentiere si prenda cura di tutti i maestri di legno e di pietra, ad eccezione di quelli deputati ad altre lavorazioni cioè quelli che fanno botti e barili, scrigni e mulini, case e mura.



Il custode delle viti provveda alle vigne.



L'ortolano si prenda cura degli orti.



(Altri officiali del monastero): i decani giuniori. i perlustratori. Gli accenditori di lumi, il custide dei pomiInventario dei beni, terre e redditi

spettanti al monastero di San Colombano di Bobbio 862

Archivio di Stato di Torino

Corte, Materie Ecclesiastiche, Abbazie, San Colombano di Bobbio, cat. l a - mazzo l.



Traduzione



... A proposito dei nuclei dipendenti esterni al monastero



A Genova la Chiesa in onore di S. Pietro può raccogliere per ogni anno lO moggi di castagne, 8 anfore vino in tempo propizio, 40 libbre di olio, vengono comprate annualmente per l'uso dei frati, 100 catene di fil 200 cedri, 4 moggi di sale, 2 congi di gara (salsa di pesce), 100 libbre di pece; ha 6 massari che curano la vi: e portano al monastero il censo di cui si è detto.

In Comorga e Scaona la "cella" del monastero, in onore di S. Giorgio, può seminare per ogni anno 30 ma) avere 15 anfore di vino in tempo propizio, 12 carri di fieno, 20 moggi di castagne, 20 libbre di olio. Sono lì massari che fanno a dovere ciò che è stato loro comandato e dieci di loro pagano l soldo, 9 polli e delle uc Uno invece porta un maggio di castagne, 12 congi di vino; i livellari sono 8, portano 2 anfore di vino, l moggio di grano, 27 denari. Ci sono nel medesimo tempo 26livellari e massari, portano 18 anfore e mezza di vino I allo stesso modo che con)a casa rustica con l'orto (...) 3 soldi, 9 polli e uova.

Congio: misura romana per i liquidi, equivalente a litri 3,283.

Libellarius: tardo latino. Il livellario è il soggetto in cui favore viene disposta la concessione della terra nel contratto di livello.

Livello: contratto agrario, diffuso nel Medioevo, per il quale una terra veniva concessa in godimento per un certo periodo di tempo a determinare condizioni (dal latino lihf'llus, libretto-contratto).

Foto E

SCHEDA DI LAVORO
Nota
Nella loro opera di evangelizzazione i monaci irlandesi crearono monasteri in tutta l'Europa. In Italia S. Colombano ottenne dal re longobardo Agilulfo, presumibilmente tra il 612 e il 615, il territorio di Bobbio, presso Piacenza, dove fondò un monastero. Strategica era la sua posizione che consentiva il controllo della strada per Roma.

  1. Quali sono le persone che vivono e lavorano nell'abbazia?
  2. Quali mansioni svolgono? Indicale rispetto a: agricoltura, allevamento, pastorizia, artigianato
  3. Ci sono lavori eseguiti da persone estranee al monastero? Quali?
  4. Prova a costruire uno schema gerarchico che consideri i vari monaci, la tipologia di mansioni loro affidate, i rapporti
  5. Metti in relazione le mansioni dei monaci, così come le hai rilevate nello Statuto dell'Abate Wala, con le diverse tipologie di locali indicati nella piantina del Doc. 9.
DOC. 9
Pianta - progetto del monastero di S.Gallo, Svizzera, 820 circa.
Biblioteca del monastero
Foto F

Il monastero e l'assistenza: un servizio alla società
Tra le mansioni che l'abate Wala affida ai suoi monaci c'è quella dell'assistenza agli infermi e ai pellegrini. Si tratta di una funzione che i monasteri medievali svolsero con grande impegno e che è ufficializzata in regolamenti, statuti, lettere, atti di fondazione.
Molti furono gli ospizi e gli ospedali retti da monaci, posti lungo le strade percorse da mercanti e pellegrini, con lo scopo di fornire assistenza ai viaggiatori e ai poveri della zona.
E' questa, ad esempio, la funzione dell'ospizio del Moncenisio che l'imperatore Lotario istituì nell'anno 825 "ad peregrinorum receptionem" e la cui dotazione è fatta per far fronte all'affluenza dei poveri "Pauperum Christi concursus tolerari".
Situati in punti strategici ( la domus del Moncenisio, ad esempio, era collocata nel punto in cui il transito per il valico presentava maggiori difficoltà ) gli ospizi erano spesso oggetto di una competizione di poteri. La vera peculiarità dell'ospizio del Moncenisio, nota G.Sergi, è "il controllo del passo. I potenti, in conflitto tra loro, aspiravano alla protezione dell'ente e l'ospedale si assicurava uno sviluppo vigoroso, aggiungendo alle donazioni dei pellegrini riconoscenti le ricche concessioni dei locali detentori del potere, laici ed ecclesiastici, che miravano a rinsaldare il legame con la fondazione". (G.Sergi, L'aristocrazia della preghiera, op. cit.)
Nel VI secolo Cassiodoro fonda a Vivarium, sul golfo di Squillace, un monastero.
Nell'opera De institutione divinarum litterarum egli propone ai monaci lo studio degli scrittori classici per una maggiore comprensione delle Scritture.
Il brano che segue mette in evidenza un'altra funzione fondamentale del suo monastero: quella dell'assistenza agli infermi.
DOC. 10
Aurelio Cassiodoro, De institutione divinarum litterarum, cap. 31, 540 ca.
"Mi rivolgo a voi, egregi frati che provvedete con premuroso impegno alla salute del corpo umano e offrite le pratiche della pietà cristiana a coloro che si rifugiano nel santuario affinché voi, tristi per le sofferenze altrui, serviate i malati come conviene alla perizia della vostra professione, con sincero trasporto [...] E perciò apprendete pure la natura delle erbe e studiate la mescolanza delle varie specie con intelletto pronto: ma non riponete la speranza nelle erbe [...] sebbene si dica che la medicina sia stata istituita dal Signore, tuttavia è lui direttamente che rende sani [...] Avete il trattato sulle erbe di Dioscoride, che ha distinto con straordinaria proprietà e descritto le erbe dei campi. Poi leggete Ippocrate e Galeno nella traduzione latina [...] e altri trattati di medicina che io ho raccolto, con l'aiuto di Dio, nella nostra biblioteca".
SCHEDA DI LAVORO
  1. A quale funzione del monastero si riferisce la frase "a coloro che si rifugiano nel santuario?"
  2. L'abate invita i monaci a servire i malati "come conviene alla perizia della vostra professione": che cosa indica, secondo te, il termine professione?
  3. Negli Statuti dell'Abate Wala sono previsti monaci con competenze analoghe? Qual è il loro nome?
  4. Quali sono le funzioni che assolve il monastero di Vivarium?
  5. Le informazioni contenute nel documento ti danno indicazioni sulla farmacologia e sulle cure mediche praticate nel Medioevo?
  6. Perché ai monaci è raccomandato l'uso del trattato sulle erbe?
  7. Chi erano gli autori dei testi di medicina a cui fa riferimento Cassiodoro? Perché ne consiglia la lettura in latino?
Una causa tra il monastero e gli abitanti delle sue terre
Alcuni documenti giudiziari riferiscono notizia di cause intentate contro i monasteri.
Un esempio significativo, che getta luce sui rapporti esistenti tra il monastero e gli abitanti dei suoi territori, è il placito di Oziate. Si tratta di una causa che si protrasse per molti anni fra l'abbazia di Novalesa e alcuni abitanti di Oziate (Oulx? Osasco?), un territorio che era stato concesso in dotazione al monastero. Gli abitanti rivendicavano la loro condizione di uomini liberi in virtù di una cartula libertatis che i donatori avevano sottoscritto e che era sempre stata tacitamente accettata dagli abati di Novalesa. La causa si svolse in tre momenti successivi (799 ca, 827, 880); nell'ultimo le ragioni degli abitanti furono definitivamente contestate dal rappresentante dell'abbazia e da quello imperiale: i motivi di tale opposizione, secondo alcuni studiosi, sono di natura economica, legati all'opera di dissodamento e coltura che le istituzioni monastiche andavano svolgendo nelle valli alpine (G.C. Alessio, op. cit. nota 1)
L'A.S.T. conserva la documentazione, a cui si rimanda, dei fatti reali. Dalla Cronaca di Novalesa attingiamo ancora una volta per conoscere il racconto, imperfetto nella ricostruzione ma ricco di particolari, del monaco cronista.
DOC. 11
Cronaca dell'Abbazia di S.Pietro di Novalesa, 1060
Rotolo membranaceo, cm. 8,5 (11) x 1170
A.S.T., Corte, Museo storico
Libro III, cap. 18
"V'era al tempo suo un villaggio di nome Oziate, possesso del cenobio, che un uomo di nome Dionisio assieme a suo figlio Unone – ora morto – aveva concesso al beato Pietro della Novalesa, coi servi e le serve, per la salvezza della propria anima. Questi servi, dopo molti giorni e dopo la morte dei loro signori, cominciarono a ribellarsi ai monaci ed ai ministri di quella chiesa e ad accendere una lite dicendo: ‹‹Né noi né i nostri apparteniamo al vostro monastero per il motivo che i nostri antenati ad esso non appartennero››. Dopo pochi giorni giunsero in Italia i legati di Carlo imperatore per discutere le cause di quegli uomini e di altri. Fra questi ci furono anche il conte Raperto e Andrea, vescovo e cappellano dell'imperatore, e con essi furono presenti molti giudici, scavini e sculdasci, e tennero una sessione nella città di Ticino. Allora il padre Frodoino mandò due dei suoi, cioé i monaci Adamo e Dodone, con Ramperto di Faletto, avvocato del monastero. Fra questi furono anche presenti gli uomini del villaggio di Oziate, cioè i servi del monastero stesso [...] e furono confutati i suddetti uomini alla presenza di tutti i conti, dei giudici e di tutta l'assemblea."
SCHEDA DI LAVORO
  1. Alla presenza di quali persone si discute la cusa intentata al monastero? Qual è il loro ruolo?
  2. La presenza di giudici funzionari dell'amministrazione franca (scavini) e di capi militari che il duca longobardo nominava come giudici nei processi (sculdasci) a quale situazione politica italiana si riferisce?
  3. Per quale motivo, secondo te, i contendenti non vedono accolte le loro richieste?
  4. I legati dell'imperatore giungono in Italia " per discutere le cause di quegli uomini e di altri": a che cosa ti fa pensare la precisazione "di altri" ?
I rapporti tra i monasteri
Gli abati mantenevano stretti legami con i monasteri da loro dipendenti o a loro collegati. Erano rapporti di preghiera, di natura economica, giuridica, culturale.
Il documento 12 , scelto per la sua originalità e significatività, esemplifica questi rapporti.
DOC. 12
Preghiere fattesi nelle diverse chiese gallicane associate nelle preci col monastero de' Santi Giusto e Mauro di Susa, in occasione della morte dell'abbate di detto monastero Bozone..., 7 ottobre 1129
Rotolo membranaceo, cm. 16-17 x 940
A.S.T., Corte, Materie Ecclesiastiche, Abbazie, S.Giusto di Susa, m. 2 bis, fasc. 1 foto
Il rotolo appartiene alla tipologia dei rotoli mortuari usati per comunicare la morte di un abate o di un confratello ai membri di altre comunità.
Consisteva in un numero variabile di schedule di pergamena, unite tra di loro in modo da formare una striscia lunga anche 20-30 metri. L'intera striscia era fissata a una struttura di legno in modo da poter essere appesa al collo del monaco portatore (rollifero o rolligero). Nella prima schedula chiamata enciclica si comunicava il decesso; a volte essa era decorata con motivi ornamentali o con l‘immagine del defunto. L'enciclica poteva essere redatta in semplici termini di una comunicazione con la richiesta di preghiere o contenere anche l'elogio funebre.
Il rollifero visitava quindi le comunità religiose e su ciascuna schedula la comunità visitata scriveva la sua partecipazione al lutto: ognuna di esse era designata come titulus e recava la denominazione dell'ente religioso che l'aveva redatta. Le forme più semplici dei tituli potevano arricchirsi di frasi elogiative e di brevi componimenti poetici, la cui compilazione era affidata al cantor o ai poeti della comunità.
E' indiscutibile l'alto valore che il rotolo mortuario assume come fonte storica: offre ad esempio notizie sui vari tipi di scrittura, sui loro mutamenti, sugli scriptoria che li hanno prodotti, sulle intitolazioni dei monasteri, sui monaci che li abitavano, sui loro nomi, sulla cultura e sulla mentalità dell'epoca, sulle vie di comunicazione, sulla consistenza patrimoniale dei monasteri...
Il rotolo di Bosone consta di 16 schedule di pergamena, di lunghezza non costante.
L'edizione critica dei due tituli scelti è a cura di M.Paola Niccoli. foto, foto.
A) TITULUS SANCTE MARIE MAG / DALENE VIZELIACENSIS (Trascrizione)
Anima eius et anime omnium fidelium / defunctorum in Christi nomine requiescant / in pace. Amen. Oravimus pro vestris, orate pro / nostris, pro abbate Artaldo, Bernone abbate, / Stefano, pro Ioceranno abbate, / Petro, Iohanne, Berardo, Widone, / Rotberto abbate / Rodulfo, Abone.

B) TITULUS CENOBII SANCTI / VICTORIS MASSILIENSIUM (Trascrizione)



Anima domni Bosonis abbatis Securiensis et anime / omnium fidelium defunctorum in Christi nomine requi / escant in pace. Amen. Concedimus suprascripto / Bosoni abbati celebracionem XXX missarum, verum etiam / ei cum omnia vivunt, animam eius suppliciter commen / damus. / [...]
SCHEDA DI LAVORO
La traduzione può essere richiesta allo studente.
A) Il titulo si riferisce all'abbazia di S.Maria Maddalena di Vézelay.

  1. Chi sono le persone per le quali i monaci dell'abbazia chiedono preghiere? Tra queste ci sono dei defunti?
  2. Considera i nomi elencati. Oggi vengono ancora usati?
  3. Come giudichi il latino in cui il titulo è stato scritto? Che cosa è successo alla lingua latina per cui nel 1129 essa si presenta in questa forma?


B) Il titulo si riferisce al monastero di S.Vittore di Marsiglia.
  1. Quale impegno liturgico si assume questo monastero per commemorare l'abate Bosone?
  2. Che cosa caratterizza questo titulo rispetto al precedente?
DOCUMENTO 13.
Carta della Francia meridionale con individuazione del percorso seguito dalrollifero (in La Novalesa. Ricerche – Fonti documentarie – Restauri, Comunità Benedettina dei S.S. Pietro e Andrea. Atti del Convegno-Dibattito 10-11-12 luglio 1981. Il rotolo funerario di Bosone abate di San Giusto di Susa, a cura dell'Archivio di Stato di Torino)
foto
SCHEDA DI LAVORO
  1. Confronta il disegno con una carta stradale odierna.
  2. Quanti Km avrà percorso il rollifero?
  3. Quante cattedrali ha visitato? Quante abbazie? Quanti ospedali? Quante certose?
  4. Il numero di comunità incontrate, l'estensione del territorio visitato, la lunghezza del percorso che cosa ti dimostrano?
V. L'AMMINISTRAZIONE
Formazione della grande proprietà religiosa
La proprietà dei monasteri e degli altri grandi enti religiosi si costituì, come già si è accennato, con le numerose dotazioni di re e privati. Alla base del fenomeno stavano principalmente ragioni di ordine spirituale; se poi i donatori erano piccoli o medi proprietari la donazione era dettata dal bisogno di garantirsi una maggiore sicurezza personale in un'epoca in cui il potere politico era carente o addirittura assente e in cui vigeva la legge del più forte, sia dal punto di vista politico che da quello economico. Privi della protezione dello Stato i deboli si affidavano al potente con l'atto dell'accommendatio: in cambio di protezione gli donavano la propria terra con la possibilità di coltivarla come affittuari, dietro pagamento di un canone. In questo modo il potente diventava proprietario di un numero sempre più grande di terreni. Il fatto che molti si accommendassero al monastero o a un altro ente religioso era dovuto alla fama e alla rispettabilità di cui essi godevano; inoltre il trattamento ricevuto dai lavoraori era in genere più umano e giusto, migliore di quello che era solito offrire il protettore laico.
La curtis
I grandi possedimenti terrieri dell'Alto Medioevo furono quasi tutti organizzati in curtes. Esse derivavano dalle antiche villae romane ed erano caratterizzate dal principio di una conduzione mista delle terre: una diretta, la pars dominica o dominicum, di cui si occupava il proprietario, l'altra indiretta, la pars massaricia o massaricium, frazionata e affidata alla coltivazione dei coloni. Il lavoro nella pars dominica era svolto quasi esclusivamente dai servi e raramente si faceva ricorso a personale salariato.
I coloni della pars massaricia pagavano un affitto, spesso vitalizio o ereditario, con prodotti coltivati o con denaro o con entrambi e fornivano un certo numero di giornate di lavoro nel dominicum, le corvées: queste risultavano pertanto una forma di pagamento d'affitto dei contadini. Il cosidetto sistema curtense si fondava su un esiguo impiego di uomini e attrezzature nella gestione del dominicum, impiego che veniva integrato con il lavoro dei coloni del massaricium.
La struttura della curtis cambiò con la pratica dell'accommendatio che vide i piccoli proprietari terrieri affidare le loro terre alla protezione di un grande signore, mantenendone però il diritto d‘uso. In questo modo il massaricium si ampliò a scapito del dominicum.
Il lavoro agricolo, che inizialmente comprendeva la manodopera servile nel dominicum e quella ingenuale (libera) nel massaricium, fu affidato via via oltre che a coloni liberi a servi domestici, che erano alle strette dipendenze del padrone da cui ricevevano vitto e alloggio, e servi casati, paragonabili ai coloni liberi, a cui il proprietario affidava quote di massaricium.
Contratti agrari medievali
A coloro che, pur rimanendo liberi, si affidavano al monastero come accomendati, il fondo veniva assegnato con un contratto di livello. Il termine deriva dal latino libellus, il libretto che conteneva da una parte la richiesta del postulante e dall'altra l'assenso del concedente. Nel contratto era stabilito l'obbligo di pagare al monastero un canone annuale, parte in prodotti del terreno coltivato e parte in denaro.
Quando si trattava di terreni aridi o paludosi o boschivi i monasteri usavano la forma dell'enfiteusi romana. Dietro il pagameno annuale di una piccola somma l'uso del terreno veniva concesso per un tempo molto lungo (ad tertiam generationem) e il contadino s'impegnava ad apportare miglioramenti al fondo avuto in uso. Con il tempo gli enfiteuti tendevano a diventare padroni delle terre faticosamente bonificate e rese produttive.
Esistevano poi tipi di contratto a partecipazione: il contadino poteva usufruire della 1/2 o di 1/3 o di 1/4 dei prodotti coltivati, a seconda del valore dei terreni e delle relazioni con il monastero.
I beni del monastero
Nella Regola S.Benedetto disciplinò anche l'attività economica dei numerosi conventi.
"Per il rapido moltiplicarsi delle donazioni la proprietà dei monasteri benedettini assunse presto proporzioni grandiose: di essi, dopo il VII secolo, abbiamo numerosi e cospicui esempi in Italia (oltre a Montecassino e Subiaco, sono famosi quelli di Farfa, Bobbio, Nonantola, Santa Giulia di Brescia, Novalesa, Cava dei Tirreni, San Vincenzo al Volturno), come in Francia, Svizzera, Germania, Inghilterra, Irlanda. In ciascuno di essi il monastero principale o i conventi minori, sparsi in tutte le regioni dov'è distribuita la proprietà, costituiscono il centro economico-amministrativo al quale è preposto l'abate coi suoi monaci, alcuni dei quali sono designati a sopraintendere ai lavori domestici e rurali. Come la villa romana, il monastero ha i suoi granai, i magazzini, le cantine in cui si conservano i prodotti dell'economia diretta o le quote prestate dai poderi tributari; le sue stalle, i suoi piccoli opifici artigianali, dove i monaci stessi e un certo numero di servi producono gran parte degli oggetti che possono essere necessari alla vita quotidiana del monastero e della popolazione dipendente, raggiungendo così quel minimo grado di autosufficienza economica, che in un periodo di carenza dello Stato e di decadenza della città, era indispensabile per la vita dei monasteri stessi." ( G. Luzzatto, Breve storia economica dell'Italia medievale, Einaudi 1958).
I maggiori monasteri, come tutti i grandi proprietari terrieri, si assicuravano i prodotti di cui non avevano disponibilità nel loro nucleo centrale acquistando proprietà in regioni diverse: come riferisce G. Luzzatto nell'opera citata, le proprietà ecclesiastiche della Val Padana possedevano tutte, ad esempio, un uliveto sui laghi e una salina nella laguna di Comacchio. Alcuni monasteri, inoltre, possedevano numerose cellae esterne in cui era custodita parte dei raccolti: esse servivano sia come magazzini per il vettovagliamento della comunità sia per il commercio con altre proprietà.
Sarebbe errato giudicare con un metro moralistico certe manifestazioni di ricchezza del monastero medievale: il possesso di molti beni voleva dire essere stati all'altezza del compito e avere raggiunto una superiore disciplina spirituale; voleva dire "esibire una patente di religiosità e di integrità: così i fedeli sapevano di elargire donazioni o di fare testamenti in favore di monaci le cui preghiere erano particolarmente ascoltate, e la ricchezza s'incrementava ulteriormente". (G. Sergi, L'idea di Medioevo, op.cit.)
I diplomi con cui i sovrani concedono ai monasteri immunità, esenzioni dai pedaggi, facilitazioni al commercio e i documenti che riferiscono le donazioni di privati e di sovrani sono fonti a cui attingere informazioni sulle proprietà dei monasteri
Un'altra tipologia di documenti, gli inventari, offrono dettagliati rendiconti di prodotti coltivati, animali allevati, contadini impegnati nei vari lavori, tasse da loro pagate e offrono elementi per leggere la struttura di una curtis.
I documenti che attestano beni e organizzazione degli enti religiosi sono molto più numerosi di quelli riferibili alla grande proprietà laica. Ciò è dovuto al fatto che gli archivi ecclesiastici, e in questo caso quelli monastici, si offrono allo studioso molto più ordinati e ricchi di quelli laici: nel monastero, infatti, si praticavano la lettura e la scrittura che consentiva la redazione dei documenti relativi ai possessi e all'attività economica.
Presso l'A.S.T. esistono diversi inventari riferiti ai beni dell'abbazia di S.Colombano di Bobbio. L'eccezionalità di due di loro è rappresentata dal fatto che essi sono stati elaborati a distanza di 20 anni uno dall'altro (862-883): attraverso il loro confronto è quindi possibile osservare la struttura di una curtis in evoluzione e di rilevare, ad esempio, le scelte adottate per ottimizzare la produzione come la lottizzazione dei terreni, la coltivazione intensiva, l'assunzione di nuovi massari e livellari con il conseguente aumento dei canoni e il potenziamento della produzione...
Il documento seguente si riferisce al primo dei suddetti inventari.
DOC. 14
Inventario dei beni, terre e redditi spettanti al monastero di San Colombano di Bobbio, 862
A.S.T., Corte, Materie Ecclesiastiche, Abbazie, San Colombano di Bobbio, cat. 1^, m.1
Foto H

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SCHEDA DI LAVORO
  1. Nel documento sono citati "nuclei dipendenti esterni al monastero":dove si trovano?
  2. Che cosa significa dipendenti ed esterni al monastero? Il rapporto di dipendenza a che cosa si riferisce?
  3. Elenca i prodotti di cui il documento dà notizia, suddividendoli in agricoli e non.
  4. Quali notizie di tipo geografico puoi ricavare sul territorio a cui appartengono i due nuclei esterni?
  5. In che cosa consiste il pagamento dei massari e dei livellari? Perché è misto?
DOC. 15
Inventario dei beni dell'abbazia di Saint Germain, inizio IX sec.
(In R. Boutrouche, Signoria e feudalesimo, Il Mulino, Bologna 1971)
Lo stralcio qui riportato si riferisce a una delle aziende dipendenti dall'abbazia.
" [...] Walafredo colono e major e sua moglie, colona, uomini di San Germano, hanno con sé due figli. Il capofamiglia tiene due mansi ingenuili, per sette bunuaria di terra arabile, sei arpenti di vigna, quattro arpenti di prato. Paga per ogni manso un bue all'anno, l'anno seguente un porco adulto, quattro denari per il diritto d'uso del bosco, due moggi di vino per il pascolo, una pecora con un agnello. Egli ara quattro pertiche per il grano invernale e due pertiche per il grano primaverile, fa corvées, trasporti, lavori manuali e taglio di legno per quanto gli si comanda; deve tre polli e quindici uova.
[...] Leonardo, lito di San Germano, tiene un quarto di manso per due bunuaria di terra arabile e mezzo arpento di vigna. Coltiva nella villa [signorile] quattro arpenti; paga per il pascolo un moggio di vino, uno staio di senape nera, un pollo, cinque uova.
manso ingenuile: terreno lavorato da uomo libero
bunuaria: misura di superficie corrispondente a circa 1/8 di ettaro
arpento: misura di superficie variabile da 3600 mq. a 2563 a seconda delle regioni
pertica: misura di lunghezza equivalente a 10 piedi, quindi a m. 2,96
moggio: misura di capacità per granaglie e simili, di valore diverso a seconda delle regioni
lito: colono appartenente a una categoria intermedia tra quella dei liberi e quella dei servi
staio: misura di capacità variabile da 24 a 36 litri
SCHEDA DI LAVORO
  1. Quali notizie ti fornisce il documento sull'uso della terra e sui coloni?
  2. Quali indicazioni offre sulle misure agrarie dell'epoca?
  3. I prodotti pagati all'abate a quale tipo di coltivazione e di allevamento si riferiscono?
  4. Oltre al lavoro agricolo quali servizi devono prestare i coloni di questa azienda?
  5. Confronta il presente documento con quello precedente. Quali notizie caratterizzano l'uno e l'altro?
VI. LA CULTURA
I monasteri benedettini non furono solo centri di vita e di rinascita economica, ma anche poli di vivace vita culturale. Spetta ad alcune personalità del Medioevo il merito di aver salvato l'essenziale della cultura antica, di averla riunita "sotto una forma che si prestasse ad essere assimilata dalle menti medievali e che avesse la necessaria veste cristiana" ( J. Le Goff, La civiltà dell'Occidente medievale, Einaudi, To 1964). Lo storico francese cita a questo riguardo Boezio, Cassiodoro, Isidoro di Siviglia, Beda: uomini di elevata cultura che hanno influenzato fortemente il sapere della loro epoca e a cui sono debitori i secoli successivi.
Dominio e territorio della cultura fu, nell'età carolingia, la Chiesa e gli intellettuali crebbero nelle scholae. La scuola, di qualunque tipo si trattasse, era nel monastero, nella cattedrale, nel convento; anche fisicamente essa era inclusa in quegli edifici.
La Regola benedettina dava disposizioni per la presenza di bambini oblati, cioè donati al monastero dai genitori. Questi bambini, futuri monaci, venivano istruiti nella comunità che normalmente non accettava però studenti esterni. foto
Dal IX all' XI secolo fiorirono le scuole monastiche. "La scuola monastica, i suoi uomini, i suoi impianti, la sua biblioteca, i suoi ritmi, i suoi ideali: la terra e la Bibbia, questi sono stati i grandi ma in definitiva gli unici veri poli del mondo che ha visto il monaco pressoché unico protagonista della vita intellettuale. Dopo sarà alle scuole cattedrali, alle scuole canonicali e di liberi chierici che dovremo guardare come a sedi della cultura e della filosofia, in un mondo fatto di vescovi e non di abati,di chierici e non di monaci, di città e non più solo di domini terrieri" (F. Alessio, Filosofia e società, Zanichelli, Bologna 1985).
Le invasioni barbariche e la dominazione longobarda avevano inferto un duro colpo ai valori della classicità che erano stati mantenuti in vita attraverso i commenti di Boezio e Cassiodoro. Dopo di loro fu la Chiesa ad assicurarne la continuità. Come al tramonto dell'Impero i contadini in balìa di prepotenze e violenze si rifugiavano nelle chiese e nei monasteri in cerca di protezione, così successe alla cultura: i luoghi sacri diventarono spazi di vita per le lettere e le arti. E' un fenomeno generale, che si riscontra in tutti i monasteri dell'epoca, incoraggiati il più delle volte nella loro opera culturale da sovrani e signori. I re anglosassoni sostennero vescovi e abati nella creazione di nuove scuole; a San Gallo docenti illustri insegnarono grammatica, retorica, aritmetica e musica; con Abone, abate del monastero francese di Fleury-sur-Loire, nell' XI secolo ebbero grande impulso gli studi scientifici e matematici.
L'età di Carlo Magno
Con Carlo Magno la cultura diventò un obiettivo fortemente sentito e perseguito, esigenza fondamentale di fronte al crescere dei bisogni della più vasta e complessa organizzazione dello Stato che necessitava di buoni funzionari e capaci amministratori. Nello stesso tempo il sovrano si propose di rieducare un clero divenuto semianalfabeta e di fornire ai suoi sudditi nozioni religiose elementari.
L'età di Carlo Magno fa del monaco colui che è anche maestro di sapere profano. E' un aspetto nuovo, ardito e difficile che creerà dubbi e problemi. Affidando ai monasteri, oltre al compito di tesorizzare il sapere anche quello di insegnare, il mondo carolingio fa coincidere la geografia culturale con quella del potere. Dal monastero, il luogo dove non è mai venuto meno l'uso del leggere e dello scrivere, quello dove si conservano e si copiano i libri, Carlo trae i letterati che alla sua corte insegnano ai giovani provenienti dalle grandi famiglie dell'impero, destinati a far carriera nell'amministrazione pubblica o nella chiesa.
DOC. 16
Monumenta Germaniae Historica, Epistulae Beati Karoli
( In Saitta, Il cammino umano, La Nuova Italia, Firenze 1962)
"Carlo per grazia di Dio re dei Franchi e dei Longobardi e patrizio dei Romani, all'abate Bangulfo e a tutta la congrega ed anche ai fedeli a te affidati [...] noi abbiamo ritenuto essere utile che i vescovadi e i monasteri, a noi affidati col favore di Cristo, oltre alle occupazioni ordinarie e alle conversazioni della santa religione, debbano anche intraprendere lo studio delle lettere [...]I sacerdoti facciano scuola di lettura. Per tutti i monasteri s'insegnino i salmi, le note, il canto, il computo e la grammatica".
SCHEDA DI LAVORO
  1. Di quale compito particolare si sente investito Carlo Magno?
  2. A che cosa è dovuto l'invito ai religiosi di intraprendere lo studio delle lettere?
  3. Per quale motivo il re affida l'istruzione ai religiosi chiedendo loro di fondare delle scuole?
  4. Salmi, note, canto, computo, grammatica: chi erano i destinatari di questi insegnamenti?
  5. Da questa lettera quale risulta essere il progetto culturale di Carlo Magno?
DOC. 17
Rodolfo il Glabro, Vita dell'abate Guglielmo, Libro VI
Nota
Nell'anno 1001 il grande abate cluniacense Guglielmo da Volpiano viene sollecitato dal duca di Normandia Riccardo II a introdurre la regola monastica nel territorio di Fécamp.
"Guglielmo, uomo di Dio, vi radunò un gruppo di monaci che vivevano secondo la regola benedettina, composto da molte personalità capaci di operare il bene. [...] Vedendo l'attento abate che non solo in quel luogo, ma anche in tutta la regione e in tutta la Gallia, presso il popolo era venuta meno ed era scomparsa la capacità di salmodiare e di leggere, fondò per i chierici scuole per apprendere il servizio divino, a cui dovevano dedicarsi assiduamente fratelli preparati a questo compito, e nelle quali si elargisse gratuitamente il bene della sapienza a tutti coloro che affluivano ai cenobi che gli erano stati affidati. Nessuno che vi volesse accedere doveva venirne escluso, anzi, sia ai servi che ai liberi, ai ricchi come ai poveri si doveva offrire la stessa testimonianza di carità. Molti dei frequentanti, poiché erano poveri, ricevevano il vitto dai cenobi. Fra di loro alcuni presero l'abito della santa regola dei monaci. Infine l'attività di queste scuole portò a molte chiese grandi vantaggi".
SCHEDA DI LAVORO
  1. Confronta i documenti 16 e 17. Quali elementi hanno in comune?
  2. A quale tipo di scuola fa riferimento Rodolfo il Glabro? Quali sono le qualità che la caratterizzano?
  3. A chi viene affidato il compito di istruire?
  4. Perché l'incremento dell'istruzione porta " a molte chiese grandi vantaggi" ? Quali sono secondo te?
Libri e biblioteche
L'importanza della lettura nella vita del monaco era sottolineata dalla quantità di tempo che la Regola le riservava.
Durante i pasti, serviti e consumati in silenzio, un lettore leggeva alla comunità da un leggio o dal pulpito. Per la lettura privata venivano annualmente distribuiti dei libri: nell'abbazia di Farfa è conservata una lista di 63 libri consegnati ai monaci per la lettura quaresimale.
Il repertorio comprendeva soprattutto opere di devozione, di teologia ascetica, vite dei Santi, commenti dei Padri alle Sacre Scritture e anche un'importante selezione di autori storici: Flavio Giuseppe, Beda, Tito Livio. La lettura e lo studio della storia erano considerati un mezzo per scoprire l'invisibile opera di Dio nelle vicende umane del passato. Presumibilmente una parte dei libri che formavano una biblioteca benedettina erano frutto di donazioni: nei cataloghi delle biblioteche monastiche molto spesso si trovano elencati con i libri anche i nomi dei donatori. Una parte consistente, poi, era fornita dallo scriptorium del monastero stesso. Qui dei monaci amanuensi erano impegnati a copiare testi o a comporre libri propri. La produzione comprendeva Bibbie, Salteri, Libri d'ore per la preghiera privata, Messali, Antifonari, Graduali, Lezionari per uso liturgico, Tropari (libri di canti), Vite di Santi, Bestiari, Erbari, libri di testo per studenti, trattati di grammatica, matematica, astronomia, Cronache...
Nel Libro IV della Cronaca di Novalesa (v. Doc. 18) si ha notizia della lettera scritta da Floro, arcidiacono di Lione, esegeta e teologo di chiara fama, all'abate Eldrado che l'aveva pregato di rivedere una copia del Salterio usato nell'abbazia. La risposta di Floro documenta il programma carolingio di espansione culturale: tra i vari provvedimenti di Carlo Magno uno riguardava infatti la correzione dei libri dell'Antico e del Nuovo Testamento sfigurati dall'imperizia dei copisti. La richiesta fatta da Eldrado a Floro rappresenta il contributo dato dall'abbazia a tale programma. L'attenzione riservata dall'abate all'opera di correzione è spiegata dal fatto che il Salterio non era solo il manuale di preghiera per eccellenza, la cui lettura era prescritta in ogni monastero benedettino, ma costituiva anche il libro su cui nelle scuole si faceva esercizio di lettura.
DOC. 18
"Da molto tempo la paternità vostra ha voluto ingiungere alla mia umile persona di correggere il Salterio secondo la norma della verità: il che, nella misura delle mie forze, mi sono adoperato a compiere. Ma, in verità, confesso alla vostra amabile grazia che mi è riuscita molto molesta e pesante l'incerta e gravemente scorretta variabilità dei molti codici che, originatasi dall'incuria di scribi sonnacchiosi, si alimenta e diffonde con la quotidiana pigrizia degli ignoranti. Io quindi, al fine di eseguire con la maggior diligenza il compito assegnatomi, mi applicai al confronto reciproco della traduzione ebraica fatta dal sacro interprete * e di quella dei Settanta **, per indagare con cura, fondandomi su ambedue, che cosa ci fosse in più o in meno nei nostri codici [...] E poiché so che la santità vostra vuol far scrivere un nuovo codice di Salmi, esorto caldamente affinché vogliate mantenere tutte queste correzioni con cura grandissima e attenzione, poniate i segni di pausa dovunque da noi sono stati lasciati o aggiunti, li togliate invece dove li abbiamo erasi, anteponiate i numeri dei Salmi ai titoli che ciascuno ha e ne scriviate alcuni prima di ‹‹alleluia›› , altri dopo, altri ancora fra due ‹‹alleluia››, così come da noi è stato corretto. V'è in ogni segno una ragione vera ed utile , che produce gran giovamento pei lettori attenti [...]
Nel volume che state per scrivere le linee si traccino ben distanziate, vengano lasciati chiari ed abbondanti spazi in modo che i nomi delle lettere che bisogna aggiungere fuori testo appaiano ben leggibili e distinte e le brevi frasi di annotazione vengano collocate con diligenza ai posti loro, cosicché quel nuovo libro per la sua correttezza, bellezza ed utilità impegni il copista ed ammaestri il lettore, informi gli animi e diletti la vista".
* sacro interprete: S. Gerolamo, autore di una versione dall'ebraico della Bibbia
** Settanta: la più antica versione greca dell' Antico Testamento
SCHEDA DI LAVORO
  1. Perché l'abate Eldrado si rivolge a Floro di Lione?
  2. Per quale motivo sceglie un esperto che risiede in una città così lontana da Novalesa?
  3. Perché Eldrado ritiene che nel Salterio usato nella sua abbazia vi siano degli errori? A che cosa possono essere dovuti?
  4. Qual è il giudizio di Floro su alcuni copisti e sul loro lavoro?
  5. Perché Floro si dilunga in minuziose raccomandazioni circa la redazione di un nuovo Salterio? Qual è lo scopo di tanta diligenza?
  6. Dal tono della lettera quale ritieni sia stato il rapporto tra Eldrado e Floro?
Lo scriptorium forniva anche importanti servizi al mondo esterno. I primi sovrani di Francia e d'Inghilterra che non disponevno di una efficiente cancelleria in proprio si servivano degli scriptoria delle abbazie per scrivere lettere e redigere documenti. Inoltre i monasteri riproducevno libri su ordinazione per studiosi e protettori e alcuni di essi erano apprezzati per l'alta qualità della calligrafia e per la bellezza delle miniature che ornavano i manoscritti. Questo lavoro costituiva una importante fonte di reddito per il monastero; il committente del libro pagava il lavoro e molto spesso forniva anche la pergamena necessaria.
Il monopolio dei monasteri sulla produzione libraria durò fino al XII secolo, quando nacquero le copisterie universitarie. Con il passare del tempo l'aumento della richiesta costrinse l'abate ad affiancare ai monaci copisti degli scrivani professionisti, che venivano retribuiti con il denaro proveniente dalle casse del monastero.
Nelle biblioteche dell'Occidente lungo tutto il secolo XII fecero il loro ingresso libri che provenivano da lontano per area geografica e per lingua, libri tradotti dal greco e dall'arabo.
"Tutti questi tesori ammassati saranno rimessi in circolazione, versati nel crogiuolo delle scuole urbane, assorbiti – come ultimo sedimento d'apporto antico – dal Rinascimento del XII secolo. (J. Le Goff)
DOC. 19
Book of Old Testament Illustrations
New York - Pierpont Morgan Library – ms 638 – Fol 12 v.
Particolare: foto
La miniatura illustra una pagina dell'Antico Testamento, il Libro dei Giudici (6, 11-12): "e mentre Gedeone batteva e ripuliva il grano [...] apparve a lui l'Angelo del Signore".
L'artista colloca la scena nel suo tempo (la miniatura è del XIII sec.) e offre così una documentazione su un aspetto del lavoro agricolo nel Medioevo.
  1. Di quale attività si tratta?
  2. Quali attrezzi sono usati? Di quale materiale sono fatti? Qual è la loro funzione?
  3. Osserva l'abbigliamento dei contadini (abiti, calzature, copricapi) e descrivine l'aspetto e la funzione
  4. Come è disposta la messe raccolta? Perché in quella forma?
  5. Nel Medioevo il colore azzurro, ricavato dal lapislazzuli, era molto costoso e veniva usato con grande parsimonia. L'uso che ne viene fatto in questa miniatura che cosa ti suggerisce? (committenti, destinazione del libro miniato, scriptorium che lo produce, zona di provenienza...)
LINK PER L'APPROFONDIMENTO
MONACHESIMO
Il termine deriva dal vocabolo greco monos che significa solo e indica un fenomeno ricorrente nella storia dell'uomo e comune a molte religioni.
I monaci sono individui che abbandonano la società per seguire un ideale di ascesi che comporta la rinuncia ai beni, alle comodità della vita, al matrimonio, alle relazioni sociali.
Il monachesimo cristiano nacque in Egitto, in Siria e in Palestina verso la fine del III secolo. Nella solitudine del deserto i monaci cercarono la perfezione spirituale attraverso una vita ispirata agli ideali del Vangelo, fatta di rinunce, mortificazioni, preghiera continua.
Nel corso del IV secolo si diffusero due modelli di vita ascetica che ispirarono i due diversi tipi di organizzazione monastica: quello del monaco solitario, l'eremita (da eremos, in greco deserto) e quello del cenobita (dal termine koinos, comune), che pratica l'ascesi in una comunità organizzata o monastero.
Del primo modello l'ispiratore fu S.Antonio (ca 251-356), del secondo S. Pacomio (ca 292-346).
In Occidente una forma importante di vita ascetica fu realizzata nel monastero di Lérins, vicino a Marsiglia. S. Martino di Tours, che fu monaco eremita a Ligugé, in Francia, a Marmoutier fondò il Magnum Monasterium, che diventò un grande centro di vita religiosa dell'epoca.
SAN BENEDETTO foto
L'unica fonte di notizie sulla vita del Santo è data dal II Libro dei Dialoghi di papa Gregorio Magno, databile presumibilmente intorno al 593-594.
Secondo tale fonte Benedetto nacque a Norcia, in Umbria, nel 480 (data ipotetica) e seguì a Roma gli studi umanistici. Disgustato della vita dossoluta dei compagni lasciò la scuola e e si rifugiò prima in un villaggio presso Roma, quindi vicino a Subiaco, nei colli Sabini, dove visse per tre anni in una grotta, istruito nella pratica della vita ascetica dal monaco Romano.
Intorno a lui si formò una piccola comunità di discepoli che egli organizzò in gruppi di 12, sotto la guida di un abate da lui nominato. Quindi il Santo si trasferì sul monte Cassino, tra Roma e Napoli, dove costruì un monastero. Al suo ordine aggiunse un ramo femminile che accolse la sorella Scolastica e un gruppo di compagne. Benedetto diresse il monastero fino alla morte, avvenuta probabilmente tra il 546 e il 550.
La sua via è ricca di episodi prodigiosi narrati da Gregorio Magno. Uno racconta l'incontro del Santo con Totila, re degli Ostrogoti. Nel 542 il sovrano si trovò a passare per Cassino e volle conoscere l'abate di cui tanto si parlava. Per metterlo alla prova in sua vece inviò un ufficiale in abiti regali e con un fastoso seguito. Il Santo smascherò l'inganno e il re Totila, colpito, si recò allora in persona a visitarlo e a rendergli omaggio. Benedetto gli rimproverò le crudeltà commesse nella guerra che stava combattendo contro i bizantini e gli profetizzò il futuro, le sue imprese belliche e la sua morte. Ammansito dall'ammonizione ricevuta, Totila dimostrò ai nemici vinti una maggiore umanità, vietando saccheggi e distruzioni.
L'episodio mette in luce l'opera di mediazione che in quel difficile periodo la Chiesa svolse nei confronti della società civile e in particolare il suo tentativo di conciliare le popolazioni latine e barbare.
Due secoli dopo la morte di Benedetto i monasteri benedettini in Europa erano più di mille. La loro storia conobbe fulgori e decadenze; ogni volta però che si sentì la necessità di un riformatore questi non fece altro che richiamarsi a Benedetto e la riforma fu sempre un ritorno ai precetti del fondatore.
E' il caso di Cluny. L'abbazia sorse in Borgogna nel X secolo, con l'intento di restaurare la Regola benedettina riportandola alla primitiva purezza.
La piccola comunità iniziale professava una vita autenticamente evangelica, distaccata da questioni e attività temporali; i monaci erano dispensati dal lavoro manuale per potersi dedicare completamente alla preghiera e alla meditazione. Per evitare che il monastero cadesse nelle mani di laici potenti o di vescovi avidi di ricchezza, l'atto di fondazione sancì l'assoluta indipendenza del monastero rispetto alla nomina dell'abate e a tutte le questioni riguardanti la comunità, che rispondeva unicamente al pontefice romano. Per evitare il pericolo dell'isolamento, che avrebbe potuto favorire le pressioni dei potenti, Cluny viveva un'unione intima con altri due monasteri, attraverso l'unicità dell'abate e l'identità delle regole di vita.
Sostenuto dalla forte personalità dei suoi abati, Cluny diventò un centro di spiritualità e una vera scuola di preghiera, un esempio di vita comune contemplativa e ordinata che conciliava la povertà evangelica con l'amore per il bello, la fuga dal mondo con l'umanesimo e la cultura.
La garanzia contro l'ingerenza dei laici, il sostegno assicurato dai pontefici contro i sovrani invadenti, la sicurezza politica ed economica offerta, la felice posizione geografica nel centro dell'Europa, all'incontro di grandi arterie commerciali, determinarono la rapida espansione di Cluny. La preghiera e lo studio alimentarono la nascita e la crescita di una delle biblioteche più ricche dell'Occidente. La lode a Dio si espresse anche attraverso la bellezza delle cerimonie liturgiche, lo splendore dei paramenti, la maestosità della chiesa e la preziosità dei suoi arredi.
Fu questo ad attirare le appassionate invettive di Bernardo di Clairvaux, esponente di spicco di un altro modello di vita comunitaria nato dall'esigenza di ritornare, dopo gli splendori di Cluny, a una forma di vita ascetica più semplice, nell'osservanza totale della Regola.
Da Cîteaux (vicino a Digione), dove ebbe origine, il modello cistercense si diffuse rapidamente, predicando la povertà che si espresse in un nuovo modello di vita comunitaria, nella scelta di luoghi deserti, non coltivati, lontani dai centri abitati su cui far sorgere i monasteri, nella decorazione semplice ed essenziale delle chiese. foto
Anche questo ordine crebbe rapidamente, soprattutto per la figura carismatica di alcuni suoi personaggi. Alla fine del XII secolo Cîteaux era diventato molto ricco per le numerose donazioni dei fedeli: per poterle conservare fu necessario scendere a compromessi e sacrificare certi valori ideali.
Cluny si era arricchito per l'esigenza di procurare il necessario per vivere al monaco, che non doveva lavorare ma solo pregare; a Cîteaux la ricchezza era entrata per il motivo opposto, perché i monaci lavoravano bene, avevano scelto di partecipare alla vita degli uomini, erano per questo amati e rispettati e ricevevano molti doni.
La ricchezza accettata per vie e ragioni diverse fu per entrambi l'inizio della decadenza.
DIPLOMA
Il termine diploma deriva dal greco diplôun, che significa rendo doppio.
E'usato per indicare originariamente documenti scritti su due tavolette unite da cerniere (dittici) e dall'inizio dell'età imperiale indica particolarmente tipi di documenti emanati dal Senato e dagli imperatori.
E' redatto in modo molto elaborato, in forma solenne sia nella veste esteriore sia nella parte del contenuto che precede la concessione del diritto o del privilegio.
La sua funzione è quella di attribuire terre, privilegi, concessioni, investiture imperiali.
PLACITO
Nel Medioevo, nei regni romano-barbarici, il placito era l'assemblea generale del popolo convocata periodicamente dal re (placito regio) o dai conti (placito comitale) con funzioni consultive e giurisdizionali.
Per estensione assunse il significato di corte giudicante.
Il termine designò anche la sentenza scritta emanata dall'autorità giudiziaria.
Nei placiti di Capua sono contenute le prime frasi in volgare italiano che ci siano pervenute: in una causa riguardante il possesso di alcune terre rivendicate dall'abate di Montecassino, i testimoni, nel marzo 960, dichiararono:"Sao ko kelle terre, per kelli fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti".
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GLI OBLATI
Il cap.LIX della Regola benedettina "Ai figli dei ricchi e dei poveri che vengono offerti" dava scontata la consuetudine di accogliere nel monastero dei bambini oblati, cioè offerti dai famigliari: ricchi e poveri, quindi, ma per motivi diversi. I poveri contadini, depredati dai Longobardi, consegnavano i loro figli al monastero per assicurare loro un futuro migliore, spesso una via di scampo dalla schiavitù e dalla morte. Per i ricchi, soprattutto per i proprietari terrieri, si trattava di un mezzo per trovare una buona sistemazione a quei figli esclusi dall'asse ereditario in quanto la loro presenza avrebbe portato a una pericolosa frantumazione dei possedimenti di famiglia; per le bambine e le ragazze era spesso un modo per rimediare all'impossibilità di contrarre un soddisfacente matrimonio d'interesse.
S.Benedetto, nell'accettare tale pratica, ne chiarì dettagliatamente le condizioni giuridiche e pedagogiche e stabilì delle regole per disciplinare la complessa situazione dei diritti patrimoniali.
Nel corso di una solenne cerimonia religiosa che si svolgeva davanti all'altare i genitori offrivano per sempre il figlio o la figlia al monastero. In un primo tempo la monacazione risultò la conseguenza obbligatoria per i piccoli oblati e solo nel Quattrocento ai ragazzini fu riconosciuto, in certi monasteri, il diritto di scegliere liberamente, quindi di decidere se diventare monaco oppure lasciare la comunità.
All'interno del monastero i bambini erano comunque oggetto di un'attenzione particolare secondo quello che la studiosa Angela Giallongo definisce "la pedagogia dell'oblazione"(A.Giallongo, Il bambino medievale, Dedalo, Bari 1990). I castighi, le mortificazioni e le punizioni corporali erano consuete, nell'intento di orientare al controllo della disciplina, ma la Regola di S.Benedetto contemplava anche un particolare clima di tenerezza nei rapporti tra gli adulti e i minori e un'attenzione speciale all'alimentazione, all'orario dei pasti, all'abbigliamento dei bambini.
Dal XII secolo una legge canonica regolamentò l'usanza: una bolla papale di Celestino III stabilì che un ragazzo, offerto dal padre al monastero, poteva lasciarlo, se lo desiderava, al raggiungimento della maggiore età e che soltanto un voto solenne emesso da adulto lo rendeva monaco.
LO SCRIPTORIUM E GLI AMANUENSI
Un monaco amanuense chino sulla pergamena intento al lavoro di scrittura è ormai entrato a far parte dell'immaginario collettivo rispetto al Medioevo.
Una scuola per monaci copisti fu fondata da Cassiodoro nel monastero calabrese di Vivarium. Ricco di libri, il monastero fu anche sede di un laboratorio di scrittura dove, secondo le intenzioni del fondatore, gli amanuensi avrebbero dovuto imparare la grammatica, la retorica, il latino, la matematica, la geometria, l'astronomia, la musica, discipline essenziali per stabilire l'esattezza di un testo, trascriverlo correttamente, interpretarlo e commentarlo.
Il programma di Cassiodoro, molto ambizioso, non trovò una risposta adeguata tra i suoi monaci, non sufficientemente colti per apprezzarlo e applicarlo. Avrebbe però dato i suoi frutti in epoca successiva, soprattutto con le scuole dell'età carolingia.
Gli amanuensi lavoravano a volte nel corridoio nord del chiostro, di fianco alla chiesa, ma generalmente il monastero disponeva di un locale separato, fuori dal chiostro, espressamente adibito all'attività: lo scriptorium. Il progetto del monastero di S.Gallo, nel IX secolo, prevedeva uno scriptorium molto spazioso, ubicato sopra la biblioteca, in cui avrebbero trovato posto sette tavoli da lavoro.
LA PERGAMENA
Il supporto scrittorio dei manoscritti medievali era la pergamena, ottenuta dalla pelle di animali, in particolare mucche, pecore e capre. La loro forma rettangolare influenzò quella dei libri, una convenienza che ancora oggi è in uso. Le pelli scuoiate subivano un lungo trattamento: erano lavate, immerse in acqua di calce, sciacquate per eliminare tutto il pelo, levigate e stirate ripetutamente su assi di legno in modo da risultare il più possibile sottili: la qualità della pergamena era infatti legata alla sua sottigliezza, quasi trasparenza. Ogni rettangolo di pergamena era ripiegato a metà una, due, tre volte a formare i folia: il bifolium, la forma più grande piegata una sola volta, il quarto, piegata due volte, l'ottavo piegata tre volte.
Prima della scrittura l'amanuense preparava la pagina: con uno strumento metallico appuntito praticava delle incisioni allo scopo di assicurare l'allineamento delle righe scritte, quindi con il piombo o con sostanze colorate tracciava delle linee che in molti manoscritti sono tuttora visibili. Il testo era diviso in colonne, in numero variabile. Se il libro era destinato a una lettura ad alta voce, come ad esempio la Bibbia, il testo era disposto su due o tre colonne per agevolare la lettura.
Il costo della pergamena incideva fortemente sul prezzo del manoscritto anche per l'alto numero di animali necessari a fornire la materia prima e alcune abbazie, prima di dare un manoscritto in prestito, richiedevano una cauzione. Nel secolo XI la contessa d'Angiò pagò un volume miniato di omelie con 200 pecore, 1 moggio di grano, uno di segale, uno di miglio e un certo numero di pelli di martora mentre un abate inglese versò 50 marchi d'argento per una Bibbia commentata: nella stessa epoca la costruzione di due arcate di un ponte di Londra era costata 37 marchi e ½.
Per i manoscritti meno importanti e per gli scritti di uso più comune erano spesso usate pergamene cancellate e riutilizzate; oggi, con reagenti chimici e raggi ultravioletti, è possibile leggere il testo cancellato in queste pergamene riscritte che si chiamano palinsesti. L'inventario di S.Colombano di Bobbio presentato nel Doc. 14 contiene un interessante particolare: per riparare una probabile lacerazione sul retro fu incollato un pezzo di pergamena che reca un frammento di canto, con note e parole: un "avanzo" che il monaco diligentemente recuperò diremmo noi dal cestino e che è diventato anch'esso documento.
Il copista si serviva di penne dure e flessibili, in genere di oca o di cigno, che potevano essere facilmente appuntite. La punta veniva tagliata diversamente a seconda del tipo di scrittura: nettamente per la scrittura carolina, ad angolo obliquo per quella gotica. L'inchiostro era ottenuto o con il carbone oppure mescolando solfato di ferro e tannino ricavato dalle galle delle querce. La maggior parte dei testi era scritta in nero; il rosso veniva usato nelle righe iniziali e finali, nelle intestazioni, nelle glosse molto estese. Nei Libri d'Ore e nelle pagine di calendario dei Salteri si scrivevano in rosso i giorni di festa e quelli in cui si faceva memoria dei Santi.
Lo scrivano disponeva anche di uno strumento con cui raschiava la pergamena in caso di errore.
I monaci amanuensi dell'Alto Medioevo non sempre sapevano leggere, pertanto il testo copiato riportava sovente errori. Le correzioni a margine o all'interno del testo stesso erano frequenti. Singolari risultano le giustificazioni talora scritte accanto alle correzioni: "La lampada emana una luce fioca", oppure "Questa pagina è stata copiata in fretta", o ancora "Questa pergamena è troppo pelosa".
Alcuni di loro eccelsero però in prestazioni di altissimo livello. Nella miniatura a fianco è presentato il monaco benedettino Eadwinus, (XII secolo), che una pagina del Salterio di Canterbury definisce "principe dei copisti". foto
In seguito i copisti svolsero la loro attività nelle officine laiche e la loro formazione fu curata nelle città universitarie.
Il manoscritto poteva essere decorato con disegni eseguiti da artisti specializzati.
Completato il lavoro di scrittura e decorazione i fogli erano cuciti assieme e posti tra copertine di legno a loro volta ricoperte di stoffa o di pelle; una fodera di velluto, di seta o di pelle proteggeva ulteriormente il libro. I bordi esterni erano tenuti insieme da fibbie.
LA MINIATURA
Il termine deriva da minium, un pigmento rosso molto usato dai pittori, e non già, come erroneamente molti credono, da diminuere, cioè creare in piccole dimensioni.
Elementi decorativi per eccellenza, le miniature variarono attraverso i secoli con grande ricchezza di decorazioni, di soggetti, di forme, di localizzazione all'interno del manoscritto.
Di particolare valore erano le iniziali: nei Salteri e nelle grandi Bibbie gli incipit di testi particolarmente importanti erano introdotti da una grande iniziale che poteva contenere la scena di una storia o figure di persone o animali o elementi decorativi. I bordi delle pagine a volte formavano una cornice oppure potevano decorare lo scritto con elementi a foglie e fiori.
Il miniaturista utilizzava una vasta gamma di colori; il più ricercato era l'azzurro, ottenuto dal lapislazzuli, una costosissima pietra proveniente dall'Afghanistan: l'artista lo usava solo per gli elementi più importanti, per esempio gli abiti della Madonna.
Un particolare che caratterizza la miniatura è la luminosità data dall'oro, applicato in foglia o dipinto con una tecnica detta alluminatura.
Le miniature medievali si espressero in stili molteplici, a seconda dei centri di produzione, dell'epoca, del testo a cui si riferivano. Quelle che ornavano i libri religiosi rispondevano, nell'intenzione dei committenti e degli artisti, all'esigenza di esaltare la grandezza e la magnificenza di Dio e della sua creazione. La bellezza delle miniature diventava così un fatto educativo, così come lo erano gli affreschi che coprivano le pareti delle chiese e che costituivano una vera e propria Biblia pauperum per la popolazione in massima parte analfabeta.
Allo studioso la miniatura medievale si presenta anche come un documento del quotidiano medievale: le immagini riprodotte costituiscono infatti una preziosa fonte di informazioni su abbigliamento, abitazioni, attività lavorative, paesaggio, flora, fauna...e rivelano credenze, interessi, gusti, abitudini, mentalità degli uomini del Medioevo.

Bibbia