La chiesa di San Giovanni Evangelista a Torino

di Laura GALLO

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La chiesa di San Giovanni Evangelista a Torino

Un oratorio aperto alla città

Alla metà dell’Ottocento Torino è una città in rapida espansione, sia dal punto di vista urbanistico che sociale: proprio per questo motivo molte zone presentano problemi e inadeguatezze rispetto all’afflusso di immigrati. Di pari passo alla volontà politica di unificare il paese, molti si impegnano in attività filantropiche, assistenziali, religiose, al servizio dei più poveri e degli emarginati. Fra queste figure spiccano don Giovanni Bosco, san Leonardo Murialdo, san Giuseppe Cafasso, Faà di Bruno, san Giuseppe Benedetto Cottolengo, il canonico Allamano, i Missionari della Consolata, i numerosi santi torinesi che dedicano la propria vita al prossimo.

La città si espande verso aree che in precedenza erano occupate dalle campagne, mentre crescono le attività industriale e imprenditoriali. In particolare si sviluppano Borgo Nuovo, Borgo Vanchiglia, Borgo San Donato, dove opera Faà di Bruno, Valdocco e Borgo San Salvario, dove si inserisce invece don Bosco. Il santo intuisce le potenzialità e la capacità di sviluppo di questa zona, che, trovandosi a ridosso della stazione ferroviaria, la cui facciata, risalente al 1861-1867 viene realizzata da Alessandro Mazzucchetti e da Carlo Ceppi, si sarebbe ulteriormente accresciuta. In quest’area gli Israeliti costruiscono la propria Sinagoga e, come abbiamo visto, nel 1853 i Valdesi inaugurano il proprio tempio.

Don Bosco, attento all’educazione e alla formazione dei giovani, decide allora di creare in questo quartiere un complesso capace di accogliere i ragazzi, di offrire loro luoghi di studio e formazione, spazi non solo di preghiera, ma anche laboratori in cui possano imparare un mestiere, spazi ricreativi, annessi alla chiesa e all’oratorio. Rispetto ad una tradizionale parrocchia questo progetto permetteva di creare un punto di incontro tra l’istituto ecclesiastico e la popolazione della città.

Lo sviluppo urbanistico all’inizio dell’Ottocento

Tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento l’espansione urbanistica che caratterizza Torino rinnova in gran parte la fisionomia della città e, in particolare, quella delle zone verso il Po e verso Porta Nuova dove sorgono nuovi quartieri. Le soluzioni che vengono via via adottate dagli architetti presentano grandi elementi di modernità, anche perché ai committenti nobili si sostituiscono ora la nuova borghesia, il ceto imprenditoriale, i banchieri, i costruttori, i professionisti per cui vengono eretti ville e palazzi. Nascono viali, giardini e corsi, secondo il concetto di pittoresco derivato dai modelli inglesi. Non mancano poi grandissime piazze, come Piazza Vittorio Veneto (allora dedicata a Vittorio Emanuele I), aperta verso il Po e la collina, splendida cornice della chiesa della Gran Madre di Dio, realizzata da Ferdinando Bonsignore (1760-1843) a partire dal 1818 e inaugurata nel 1831. Gli stili maggiormente utilizzati vanno dal neoclassico, più collaudato, al neogotico , il gusto più alla moda.

Il neogotico

Il neogotico diventa, all’inizio del periodo romantico un modo simbolico per recuperare la storia passata, anche locale, costruendo immagini attuali, le cui radici affondano però nella memoria. Dall’Inghilerra in tutta l’Europa si diffondono le idee di Christopher Wren: le chiese gotiche diventano espressione di uno stile nazionale. Parallelamente la diffusione dell’eclettismo e del neogotico vengono influenzate ampiamente anche dal alcune opere illustrate, di carattere didascalico, come quella dei fratelli Batty e Thomas Langely, che fin dalla metà del Settecento offrono vasti spunti e repertori agli architetti di tutta l’Europa, riproponendo elementi e motivi gotici insieme a elementi misti, rocailles, dorici e classici.

Anche August Welby Northmore Pugin (1812-1852) vede nell’architettura gotica delle chiese cattoliche l’unica vera architettura, capace di far rinascere lo stile sublime dell’architettura sacra: nei suoi testi, come ad esempio An Apology for the Revival of Christian Architecture in England (1843), l’esaltazione dello stile gotico, che si contrappone a quello neoclassico, assume valenze anche ideologiche.

Il gotico, stile caratteristico dell’epoca medievale, è inteso come il simbolo della società del passato ora presa a modello, età magnifica in cui il lavoro, organizzato in corporazioni, era “utile” e “adatto” all’uomo, dove nei cantieri delle cattedrali lavoravano fianco a fianco operai, intellettuali, artigiani. A questi principi si ispirano anche in Piemonte alcune scuole nate proprio con l’intento di riscoprire le pratiche artigianali, poi impiegabili nei nuovi cantieri, anche attraverso la produzione seriale e semindustriale.

Il revival neogotico e gli edifici religiosi

Don Bosco affida i lavori per il complesso architettonico a Edoardo Arborio Mella (1808-1884), un architetto vercellese di origini nobili, che nella sua città natale aveva creato una scuola per la formazione di maestranze edili. Il progetto di don Bosco trovava dunque, anche nelle idee dell’architetto, fervente cattolico, molti punti di contatto. Si tratta di un requisito fondamentale che era già stato analogamente valutato nella scelta compiuta dalla marchesa Giulia Colbert Falletti di Barolo nel momento in cui scelse Giovanni Battista Ferrante (1834- 1913) quale architetto a cui affidare i progetti per la chiesa intitolata a Santa Giulia da lei fatta edificare.

Anche nel caso della chiesa e del complesso voluti da don Bosco la scelta cade su un’architettura di carattere neogotico, secondo un modello diffusosi inizialmente, come abbiamo visto, in Inghilterra negli anni ’20 dell’Ottocento. L’architettura revivalistica sottintendeva metaforicamente un ritorno agli aspetti spirituali della chiesa alto medievale, secondo una rivalutazione del più puro stile “cristiano” allora diffusasi in tutta l’Europa, e rivendicava, allo stesso tempo, il primato delle origini italiane dello stile romanico-bizantino.

In Torino nel corso dell’Ottocento vengono infatti innalzati numerosi edifici religiosi in stile neoromanico o neogotico, come, ad esempio, la chiesa di San Secondo di Formento e Vigna (1882), quella di Sant’Antonio da Padova di Porta (1883), il Tempio Israelitico, su progetto di Petiti (1884), tutti sorti nelle immediate vicinanze del Viale del Re; molti vengono eretti in altre zone della città, come la già ricordata chiesa di Santa Giulia (1860-1866), quella dedicata a Nostra Signora del Suffragio (1863-1876), quella di Santa Barbara, opera di Panizza (1867-1888), quella del Sacro Cuore di Gesù, di Arborio Mella e Reviglio della Venaria (1873), la Madonna della Salute, opera di Reycend (1884), Sant’Alfonso dell’ingegner Giuseppe Tonta (1883), la chiesa di San Gioacchino di Carlo Ceppi (1876-1888), la chiesa del Sacro Cuore di Maria, sempre di Ceppi (1884-1889). Il gusto del revival trova poi una sua ulteriore applicazione negli studi di Alfredo D’Andrade, nella realizzazione nel 1884, in occasione dell’Esposizione Generale Italiana di Torino, della Rocca e del Borgo Medievale.

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Torino, chiesa di Sant’Alfonso,

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Torino, chiesa del Sacro Cuore di Gesù

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Torino, Borgo Medievale

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Edoardo Arborio Mella

Edoardo Arborio Mella

Edoardo, figlio del conte Carlo Emanuele Arborio Mella e di Vittoria Gattinara di Zubiena, nasce a Vercelli il 18 novembre 1808. A partire dal 1820 compie gli studi a Torino, presso il collegio del Carmine, retto dai Gesuiti. È un giovane brillante, dalla grande propensione per i lavori artigianali e meccanici, appassionato di storia naturale, musica e disegno. Al 1830-‘31 risale il suo primo progetto per la realizzazione della bussola per la chiesa di San Giuseppe, nato sotto la guida del padre direttore dei lavori di restauro della basilica di Sant’Andrea di Vercelli. Dal padre, Edoardo apprende infatti gli insegnamenti artistici, di stampo neoclassico e aperti al primo neogotico. Dopo la morte della giovane moglie Adele, a partire dal 1839 si dedica all’insegnamento della geometria ai giovani: nel 1841 su iniziativa del padre viene istituita a Vercelli una scuola gratuita per l’insegnamento del disegno, che si interessa anche alla conservazione e alla salvaguardia dei beni architettonici e artistici presenti sul territorio. In questo periodo Edoardo compie alcuni viaggi di studio nell’Italia meridionale e in Sicilia. Si appassiona allo stile gotico, che ha conosciuto direttamente nel Sant’Andrea di Vercelli: per questo motivo decide di imparare la ligua tedesca e di recarsi di persona a visitare altre importanti cattedrali gotiche in Germania, Svizzera e Francia. Frutto di questi viaggi è il progetto per l’altare, oggi perso, dedicato a san Carlo Borromeo per la basilica di Sant’Andrea, in “stile gotico – tedesco del XIV secolo”. Dopo la morte del padre avvenuta nel 1850, l’architetto intraprende un nuovo viaggio toccando Innsbruck, Monaco, Norimberga, Lipsia, Berlino, Dresda, Praga, Vienna, Budapest, fino al Mar Nero, a Costantinopoli, Smirne, Atene, Corfù, Parenzo, Pola, Trieste e Venezia. Nel 1853, in seguito al viaggio inizia a scrivere il trattato Elementi di architettura gotica da documenti antichi trovati in Germania. In questo periodo entra in contatto con il conservatore della Biblioteca Reale di Torino, Domenico Promis, fratello dell’architetto Carlo. Dopo la pubblicazione di una prima parte degli Elementi di architettura gotica, riscuote un notevole successo: viene infatti interpellato come consulente durante il restauro del duomo di Casale Monferrato, diventando direttore dei lavori.

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Casale Monferrato, il duomo

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Edoardo Arborio Mella: Prospetto per la cattedrale di Casale Monferrato, acquerello, Vercelli, Istituto di Belle Arti

All’inizio degli anni ’60 si occupa di altri cantieri di restauro, quali quelli delle parrocchiali di Rosignano e Mirabello Monferrato e del duomo di Saluzzo. Nel 1861 diventa direttore della scuola di disegno fondata dal padre che prende ora il nome di Istituto di Belle Arti. Nel 1862 inizia a collaborare con il “Giornale dell’ingegnere architetto agronomo” pubblicandovi alcune sintetiche monografie su monumenti medievali piemontesi e lombardi. Successivamente si dedica ad altri progetti architettonici, quali il tempietto gotico di Sant Vincent, la ricostruzione della cattedrale di Torgnon, la decorazione della cripta del duomo di Acqui, i restauri della cattedrale di Alba e della parrocchiale di Sant’Agnese a Vercelli.

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Torgnon, cattedrale

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Edoardo Arborio Mella, Cattedrale di Alba, prospetto anteriore in restauro (1869), acquerello, Vercelli, Istituto di Belle Arti

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Vercelli, parrocchiale di Sant’Agnese

Agli anni ’70-’80 dell’Ottocento risale la realizzazione della chiesa e dell’ospizio di San Giovanni Evanglista di Torino. La sua attività continua parallelamente con i restauri della parrocchiale di Govone e della collegiata di Chieri, del duomo di Ventimiglia, con la collaborazione alla rivista torinese “L’Arte in Italia”, mentre è membro della Commissione per l’elenco dei monumenti nazionali del Piemonte, dell’Accademia Albertina di Torino, della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti, dell’Accademia Ligustica di Genova, dell’Accademia Storico-Archeologica di Milano. Fra gli ultimi incarichi possiamo ricordare quello di ispettore agli scavi e monumeti per la provincia di Novara e i progetti per i restauri della Sacra di San Michele. Negli ultimi anni lavora inoltre alla pubblicazione di altre opere teoriche come gli Elementi di architettura romano-bizantina detta Lombarda, poi pubblicati un anno dopo la sua morte avvenuta l’8 gennaio 1884.

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Torino, chiesa di San Giovanni Evangelista

La chiesa di San Giovanni Evangelista

Dagli scritti teorici di Mella emerge, oltre che una costante e profonda attenzione agli edifici romanici e gotici, un particolare peso conferito dall’architetto ai caratteri dell’ordine e della simmetria nelle costruzioni, elementi che talvolta non ritiene ben espressi negli edifici medievali.

Nel progetto presentato a don Bosco, Mella cerca pertanto di creare un edificio simmetrico ed equilibrato. La chiesa viene concepita a pianta basilicale, a tre navate: la facciata, arretrata rispetto all’ampio e accogliente sagrato, da un lato presenta uno slancio in verticale, determinato dal protiro di ingresso, dalla trifora superiore della navata centrale, dalla quadrifora e dalla bifora della cella campanaria cuspidata, dall’altro gli permette di organizzare lo sviluppo dell’edificio in orizzontale nelle due ali laterali simmetriche, agganciate alla facciata per mezzo delle trifore e delle porte. L’ingresso della chiesa, grazie alla svettante torre che si imposta sulla facciata appare dominante sul corso Vittorio Emanuele II (all’epoca viale del Re), all’angolo con via Madama Cristina, nonostante sia arretrato. L’aspetto verticalistico della cella campanaria alta 45 metri, rispondeva poi all’interesse verso la possibilità di erigere edifici in altezza, ben testimoniato a Torino anche dai coevi progetti di Antonelli, o del campanile della chiesa di Nostra Signora del Suffragio (Santa Zita) realizzato da Faà di Bruno nel Borgo San Donato.

Lo studio del disegno geometrico, caro a Mella, è alla base della concezione dell’intera costruzione: la navata centrale è infatti divisibile in tre grandi quadrati, che raddoppiano in quelle laterali. La navata centrale, coperta con volte a crociera, appare quindi come un solido rilevato, rispetto a quelle laterali che, continuando intorno all’abside, creano un deambulatorio. All’esterno si impostano archetti in cotto in stile romanico e oculi ciechi scanditi dai contrafforti che ne definiscono il volume. Tutto l’impianto della chiesa si sviluppa secondo gli elementi tipologici del romanico lombardo che l’architetto ha già sperimentato nel duomo di Casale Monferrato. In particolare ricorrono i capitelli cubiformi, gli archetti pensili, le lesene decorative. La posa della prima pietra della chiesa avviene il 14 agosto del 1878; nel dicembre del 1879 la struttura esterna della chiesa è conclusa. All’inizio del 1882 la chiesa si può considerare finita. All’interno dell’edificio viene inserito un imponente organo, a 3600 canne, voluto da don Bosco e costruito da Giuseppe Bernasconi di Varese collaudato nell’estate del 1882. In tale occasione viene, di fatto, collaudata anche la chiesa.

Gli interni della chiesa

La chiesa si estende in lunghezza per 60 metri: i pilastri polilobati della navata centrale, che si susseguono scandendo le campate, creano un’infilata prospettica che si risolve nel cilindro absidale su cui si imposta la calotta affrescata. Le navate laterali, al contrario, sembrano raccogliersi intorno all’abside, curvandovi attorno ad anello. Nella navata centrale le aperture permettono alla luce di filtrare dall’alto e di concentrarsi sul presbiterio e sull’altare; in quelle laterali l’architetto sfrutta invece la luce penetrante dalle finestre realizzate nei piani di tamponamento, per illuminare la parte bassa della chiesa. La luce investe pertanto la massa dei fedeli, chiamati tutti alla santità secondo i principi espressi da don Bosco.

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Interno della Chiesa di San Giovanni Evangelista

Gli arredi e le decorazioni della chiesa

Nella concezione architettonica di Mella la decorazione è un elemento fondamentale dell’edificio: la facciata della chiesa è arricchita da due mosaici, il primo soprastante il portale di accesso, con il Redentore in cattedra, e il secondo a coronamento della trifora, raffigurante l’Apoteosi di San Giovanni, entrambi realizzati su disegno di Mella dalla Società Musiva di Venezia. L’architetto, infatti oltre al disegno della chiesa, redige un dettagliato progetto per la sua decorazione e per l’arredo, come testimoniano numerosi disegni dell’altare maggiore e di quelli laterali, dei portalampada, della balaustra, dei banchi, dei confessionali, degli stalli del coro. Mella cura l’edificio e gli arredi sacri in ogni dettaglio, progettando probabilmente anche le porte interne, le acquasantiere, i candelabri, i lampadari. Fra le ditte e gli artigiani chiamati a lavorare agli arredi e alla realizzazione degli altari laterali, possiamo ricordare Paolo Carrera di Milano, cui spettano le cancellate in ferro nichelato per il presbiterio e quella in ferro fuso collocata davanti alla facciata; Albino Gussoni, autore degli altari laterali minori; la ditta dei fratelli Repetto di Lavagna Ligure, che realizza l’altare maggiore; Leonardo Zambelli di Torino, autore dei lampadari in bronzo. Molte maestranze vengono inoltre reclutate direttamente dai laboratori artigianali dell’oratorio salesiano avviati da don Bosco nel quartiere Valdocco, cui spettano ad esempio le porte, i confessionali e numerose altre opere lignee.

Le opere pittoriche che decorano la chiesa si ispirano, nell’iconografia, ai testi e alla vita del santo titolare: in questo modo si intendeva celebrare, oltre al santo stesso, il ritorno alla Chiesa più antica. La chiesa è poi dedicata al pontefice Pio IX (1792-1878), che nel 1854 aveva proclamato il dogma dell’Immacolata Concezione. Questo fatto spiega anche la particolare attenzione rivolta nelle decorazioni alla figura della Vergine, di cui è sottolineata la maternità spirituale di tutti i credenti.

Le pareti laterali e la volta vengono affidate a Carlo Costa, un pittore formatosi presso l’Accademia Vercellese secondo l’impostazione didattica voluta da Mella, che anche in questo aspetto si richiama alle corporazioni medievali formando artigiani capaci di far rivivere l’antico stile cristiano.

Oltre a Carlo Costa, alle decorazioni lavora anche il pittore Enrico Reffo , presentato probabilmente a don Bosco da Leonardo Murialdo, direttore dal 1866 del Collegio degli Artigianelli. Reffo dipinge ad encausto nell’abside la scena del Calvario con Cristo crocifisso, la Madonna e le pie donne a sinistra, san Giovanni e la Maddalena a destra e angeli. Ai lati dela croce si possono leggere due scritte: “Mulier ecce Filius Tuus”, a sinistra; “Ecce Mater tua” a destra. Le figure si stagliano su uno sfondo dorato lavorato con elementi romboidali che ricordano l’effetto di un antico e scintillante mosaico. A Reffo spettano anche i sei medaglioni sulle pareti laterali e il settimo sotto l’organo con i sette Vescovi dell’Asia Minore descritti nell’Apocalisse da San Giovanni e, sulle pareti laterali del presbiterio, i due episodi che rappresenano la carità di San Giovanni Evangelista e che alludono all’opera apostolica di don Bosco, rivolta soprattutto ai giovani. La pittura utilizzata dall’artista è a cera: si tratta di una tecnica meno complessa rispetto alla decorazione ad affresco, capace di resistere maggiormente ai danni provocati dall’umidità.

Giuseppe Rollini , allievo alla scuola salesiana di don Bosco, è invece l’autore dei gruppi di angeli raffigurati nel presbiterio e della scena con Gesù che rompe i sigilli del libro contenente i destini della Chiesa e i cori angelici sciolgono un inno all’Agnello. Infine partecipano alla decorazione pittorica anche Salvino Caneparo e Roberto Bonelli. Al pittore milanese Pompeo Bertini spettano i dipinti su vetro delle cinque finestre circolari dell’abside con san Giovanni Evangelista, san Giacomo, sant’Andrea, san Pietro, e san Paolo. Le finestre a vetri colorati della chiesa, su disegno di Mella sono opera del torinese Antonio Barbetta. Le decorazioni del presbiterio e della navata centrale sono state recentemente restaurate.

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Enrico Reffo, Autoritratto, olio su tela, 1864

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Giuseppe Rollini, Ritratto, Camerette di Don Bosco, Torino

Enrico Reffo (1831-1917)

Enrico Reffo, originario di una modesta famiglia della Valsesia inizia gli studi presso il Collegio del Carmine di Torino. Successivamente è apprendista in una bottega orafa. Nel 1853 si iscrive all’Accademia Albertina, dove è allievo di Alessandro Antonelli e di Michele Cusa. La sua arte si basa sulla pratica accademica del disegno e, in linea con i principi di allora, su una pittura capace di trasmettere valori morali ed educativi. Dal 1857 al 1866 espone presso le mostre annuali della Promotrice, oltre a soggetti sacri, anche ritratti e scene di genere. Nel 1866 entra a far parte del Collegio degli Artigianelli come titolare della scuola di arte applicata all’industria e parallelamente si dedica alla decorazione di numerose chiese torinesi e della provincia, dove opera con i suoi allievi: in particolare, fra i suoi lavori, possiamo ricordare una Madonna in trono e santi nella chiesa di San Filippo Neri, la Madonna della Salute, nella chiesa omonima, le decorazioni della chiesa di San Dalmazzo e di quella dei SS. Angeli Custodi, alcuni lavori nel duomo di Pinerolo e nelle chiese di Vigone e Volpiano. Reffo non è solamente un artista preparato tecnicamente, è anche sensibile ai principi educativi dell’arte religiosa: il riutilizzo di cartoni e bozzetti in più lavori condotti dalla sua bottega ci permette inoltre di individuare nella sua attività un vero e proprio metodo artigiano specializzato nella realizzazione di immagini sacre.

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Enrico Reffo, La Vergine in trono tra S. Efisio e il Beato Giovanile Ancina, Chiesa di San Filippo Neri, Torino

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Torino, Chiesa di San Dalmazzo

Giuseppe Rollini (1842-1904)

Rollini nasce a Maggiate Inferiore di Gattico nel novarese. Rimasto orfano di padre viene accolto nell’Oratorio di San Francesco di Sales a Torino. Nel 1860 si iscrive all’Accademia Albertina, al corso di Figura e di Ornato: due anni dopo passa al corso di Pittura tenuto da Andrea Gastaldi, con cui studia fino al 1866. Tutta la sua attività è costellata da lavori affidatigli dai Salesiani: il primo, che risale al 1865 è una figura in cartapesta del Beato Cherubino Testa destinata alla parrocchiale di San Giovanni di Avigliana. A partire dal 1867 il pittore presenta numerosi quadri alle esposizioni della Società Promotrice di Belle Arti di Torino. Dal 1869 fino all’inizio degli anni ’90 si occupa della decorazione pittorica della Basilica di Maria Ausiliatrice, mentre tra il 1882 e il 1884 esegue le pitture del Borgo Medievale insieme ad Alessandro Vacca. Successivamente, sempre con Vacca affresca il duomo di Pinerolo e si occupa dei restauri di Casa Cavassa a Saluzzo (Cn). A Rollini spettano poi altre decorazioni in stile neogotico: in particolare quelle per la chiesa di Gaetano da Thiene di Torino e per il castello Bonoris a Montichiari, in provincia di Brescia. Fra i suoi dipinti più famosi è il ritratto di san Giovanni Bosco. Il pittore muore a Torino il 29 novembre 1904.

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Enrico Reffo, Crocifissione, abside della chiesa di San Giovanni Evangelista

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Giuseppe Rollini, Madonna con il Bambino, affresco con ridipinture a tempera, 1884, Torino, Borgo Medievale

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Giuseppe Rollini, Cupola della Basilica di Maria Ss. Ausiliatrice, Torino, 1885-1891

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Giuseppe Rollini, L’Ausiliatrice, 1889-1891, affresco, cupola della Basilica di Maria Ausiliatrice, Torino

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Giuseppe Rollini, Gruppo di angeli, 1882, Chiesa di San Giovanni Evangelista, Torino

Bibliografia

A. Griseri, R. Gabetti, Architettura dell’eclettismo. Un saggio su G.B. Schellino, Torino, 1973

L. Pittarello, voce Edorado Arborio Mella, in Cultura figurativa e architettonica degli Stati del Re di Sardegna 1773-1861, catalogo della mostra (Torino 1980), a cura di E. Castelnuovo e M. Rosci, Torino 1980, III, pp. 1388-1390

1882-1982. San Giovanni Evangelista. Un secolo di vita, Torino, 1982

Edoardo Arborio Mella (1808-1884), catalogo della mostra (Vercelli 1985), Vercelli 1985

Enrico Reffo (1831-1917). Pittore religioso tra Ottocento e Novecento. I suoi disegni, catalogo della mostra (Pinerolo 1991), a cura di C. Daprà e C. Thellung de Courtelary, I Quaderni della Collezione Civica d’Arte, Pienerlo 1991, n. 28

Giuseppe Rollini. Il Quattrocento Piemontese e l’invenzione neogotica, a cura di M.P. Ruffino, Quaderni del Borgo n. 5, Torino 2006