LA CULTURA BIZANTINA 
NELL’ITALIA MERIDIONALE:
I MONASTERI GRECI
L’influenza della cultura bizantina nel sud-Italia
I primi secoli dell'Impero romano furono un periodo di pace 
e relativa stabilità per il Mediterraneo, le vie di comunicazione via mare e via 
terra vennero potenziate e viaggiare non comportava rischi eccessivi. Il latino 
ebbe presto la meglio sulle altre lingue italiche, ma non potè sopraffare così 
facilmente una lingua come il greco, che aveva un bacino di parlanti amplissimo, 
tanto da rappresentare una lingua franca, specie in Oriente. Pertanto questo 
periodo potrebbe aver rappresentato un momento di rinnovamento, piuttosto che di 
regressione, per le comunità greche presenti in Italia, di afflusso di nuova 
linfa dall'Oriente e di evoluzione della lingua, che in questi secoli era 
interessata dalle trasformazioni nel lessico e nella pronuncia che la rendevano 
molto simile a quella parlata oggi in Grecia, a Cipro, in Salento e in Calabria.
I secoli in cui parte del sud-Italia fece parte dell'Impero 
d'Oriente furono caratterizzati dal ripopolamento, da innovazioni 
nell'organizzazione della società centrata sugli insediamenti agricoli, i 
"choria", e nelle tecniche di coltivazione. Gli strateghi imperiali favorirono 
l'immigrazione dall'Oriente anche per costruire una base solida di consenso 
nella popolazione, utile nelle guerre contro i Longobardi. L'origine di una 
cultura bizantina nel territorio vede in questa politica di ripopolamento con 
genti di lingua greca la probabile origine delle comunità ellenofone salentine e 
della Calabria, che sarebbero dunque nate fra il VII e il IX secolo d. C.; si dà 
risalto ad alcuni documenti che attestano movimenti di schiavi inviati nei 
territori italiani per fondare colonie. In particolare fu Gallipoli a rinascere 
come città ellenofona dalle rovine, grazie all'immigrazione dall'Oriente. Ma le 
immigrazioni di greci coinvolsero anche altre aree come Taranto e dintorni. 
L'Impero controllò a lungo anche il Bruzio, la Lucania, alcuni possedimenti 
sulle coste campane e, per un periodo, la Sicilia: venne così a crearsi un'area 
politicamente unita che probabilmente favorì reciproche influenze culturali.
La parola Calabria che prima indicava il Salento cominciò 
ad indicare il Bruzio mentre il Salento alla fine della dominazione bizantina 
(X-XI secolo) costituiva con le altre Puglie il Thema di Langobardìa.
La conquista normanna 
contribuì alla crisi dei rapporti già difficili fra la Chiesa di Roma e la 
Chiesa Orientale e allo scisma che divise la cristianità. Per la Chiesa greca in 
Italia meridionale, tuttavia, all'inizio non vi furono stravolgimenti. Infatti i 
Normanni, anche per cercare di acquisire consenso, rispettarono il clero greco 
nelle aree di lingua greca come il Salento e, anzi, lo finanziarono. Sorsero 
così nuovi monasteri, chiese; maestranze greche arrivavano per realizzare 
affreschi e mosaici come quello della cattedrale di Otranto. Alcuni monasteri 
divennero importanti centri di cultura, con alloggi per studenti, possibilità di 
essere istruiti nelle lettere greche e latine, attività di trascrizione dei 
testi antichi. In alcuni di questi, come San Nicola di Càsole presso Otranto e 
San Mauro presso Gallipoli, sono stati rinvenuti manoscritti con testi di 
Aristotele e altri autori antichi fra i più completi al mondo..
Solo dal XV-XVI secolo con la Controriforma l'atteggiamento 
della Chiesa di Roma nei confronti del Rito Greco diventò molto più aggressivo, 
i preti greci si trovarono senza sostentamento e furono messi in condizione di 
dover passare al Rito Latino per sopravvivere, molti monasteri italogreci 
finirono abbandonati mentre cominciò una campagna di edificazione di 
innumerevoli chiese latine. La scomparsa del clero greco provocò anche la 
scomparsa della lingua colta e della scrittura con caratteri greci, mentre 
rimase viva nella popolazione, in gran parte analfabeta, la lingua volgare 
greco-salentina, ben diversa dalla lingua greca "ufficiale" tramandata dal 
clero, influenzata certo dalla simbiosi con il dialetto romanzo e semplificata 
nel lessico, ma espressione caratteristica della storia e della cultura di 
questa regione come di tutta l'Italia Meridionale.
Abbazia di San Nicola 
di Càsole
Il cenobio di San Nicola di Càsole, nei pressi di Otranto, 
venne fondato nel 1098-1099 per volontà di Boemondo I, principe di Taranto e di 
Antiochia, e di sua madre Costanza. Le sue rovine sono visibili ancora oggi; 
esistono dei progetti di recupero e si auspica che essi vengano attuati il più 
presto possibile.
Boemondo donò ai monaci basiliani il Casale di Casole e 
sovvenzionò la costruzione del monastero. In Puglia la dominazione bizantina era 
stata sostituita da quella normanna nel 1071: favorendo la nascita di quel 
monastero, i Normanni si ingraziarono la fiducia della popolazione locale 
salentina.
Il monastero venne eretto su un cenobio preesistente 
costituito da casupole (da cui probabilmente deriva il nome di Casole). Nel 
periodo del suo massimo splendore Casole era arrivato ad essere il più 
importante monastero di tutto il Meridione; possedeva numerose proprietà, 
grance e 
metochie e da Casole dipendevano numerose chiese. Era fra i 
monasteri che pagavano le tasse più alte e godette di grande notorietà, anche 
presso la sede pontificia, che in più di un'occasione utilizzò le più 
significative personalità del monastero di Casole per missioni a Costantinopoli. 
Papa Bonifacio IX, nel XIV secolo, ne ebbe una notevole considerazione; chiamò 
infatti diversi monaci casolani a dirigere altri monasteri sparsi per l'Italia.
San Nicola di Casole diventò il centro propulsore di un 
movimento letterario che si pose sotto l'ala protettrice di Federico II: vi 
nacque un Circolo Poetico la cui guida fu l'abate Nettario e che si proponeva di 
trattare sia temi religiosi sia temi profani. Esso promosse un vero e proprio 
umanesimo italobizantino in Terra d'Otranto che determinò la sopravvivenza della 
lingua greca come lingua letteraria del Salento in un'età in cui invece a 
Palermo, alla corte del grande Federico II, l’italiano volgare prevaleva sulle 
lingue classiche.
I 
componenti del Circolo di Casole scrivono in una lingua bizantina che non 
disdegna il ricorso a virtuosistiche ed elaborate tecniche letterarie. 
San Nicola di Casole è ricordato per la sua biblioteca, la 
quale non era soltanto di servizio al convento, ma era anche aperta al pubblico. 
Faceva infatti attività di prestito. Con la distruzione del monastero ad opera 
dei turchi nel 1480 la biblioteca andò perduta. Fortunatamente pochi anni prima 
centinaia di volumi (comunque una piccola parte della biblioteca di Casole) 
erano stati prelevati dal cardinale Basilio Bessarione metropolita di Nicea, 
patriarca di Costantinopoli (Trebisonda 1402 - Ravenna 1472), straordinario 
bibliofilo, che poi offrì a Venezia la sua intera e ricca raccolta di codici, 
ivi compresi quelli prelevati dall’abbazia di San Nicola di Casole ad Otranto. 
Attualmente quei pochi libri della biblioteca di Casole che sfuggirono alla 
distruzione operata dai turchi si trovano sparsi per le bilioteche di mezza 
Europa.
Dopo la distruzione ad opera dei Turchi, Casole rimarrà 
abbandonata fino al 1527, quando fu restaurata la sola chiesa, per volere del 
papa Clemente VII. Tuttavia l'abate-rettore fu un appartenente al clero secolare 
latino, non più greco.
In conseguenza della lotta iconoclasta di Leone III 
Isaurico (717-741), un gran numero di religiosi decise di trasferirsi sulle 
opposte sponde dell'Adriatico, cercando rifugio in Italia Meridionale. Sorsero 
in gran numero cripte, laure, grance, abbazie, metochie.
Il Salento accolse i monaci 
greci con generosa ospitalità; per i suoi abitanti essi rappresentavano 
l'espressione più raffinata della grande cività della Grecia classica, l'anello 
di congiunzione tra i due tronchi dell'antico Impero Romano, in un contesto 
sociale - quello salentino, appunto - nel quale la lingua ufficiale era proprio 
il greco. Già sul finire del secolo VI la Terra d'Otranto ruotava politicamente 
nell'orbita di Bisanzio; i salentini si sentivano legati profondamente 
all'Oriente e nel X secolo il processo di ellenizzazione di queste terre 
raggiunse il suo culmine. 
L'Abbazia di San Nicola 
ripagò il Salento con altrettanta generosità. Infatti essa offrì gratuitamente 
insegnamento, vitto e alloggio a quei giovani che volessero apprendere le 
lettere greche. Nel giro di pochi anni divenne uno dei centri più importanti 
della cultura e della religione medioevale: in esso si studiarono Aristotele e 
Platone e si cercò di coniugare le antiche cosmologia, gnoseologia ed etica 
greche con le ansie e le preoccupazioni religiose dell'epoca, attraverso una 
pratica intellettuale a mezza via fra discorso teologico e discorso filosofico.
A San 
Nicola di Casole poteva recarsi chiunque voleva erudirsi: facendolo, otteneva 
gratis la maggior parte del vitto, il maestro ed una stanza (Antonio de Ferraris 
il Galateo in: "De Situ Iapygiae"). 
La storiografia filosofica solo da poco tempo va valutando 
l'apporto dell'Abbazia di Casole al pensiero occidentale: le risultanze attuali 
comunque collocano Casole fra i centri culturali europei di primissima 
importanza (peraltro il monastero viene citato più volte in "Il Nome Della 
Rosa", di Umberto Eco), probabilmente alla stregua di Chartres, Cluny, Bec, San 
Gallo, Fulda e York. Casole, e con Casole il Salento, divenne un centro 
importantissimo per la diffusione delle lettere greche durante tutto il corso 
del Medioevo, fino alle soglie del Rinascimento. In Terra d'Otranto, infatti, vi 
era una diffusa presenza di monasteri greci, in cui venivano copiati e miniati 
codici; in alcune sedi parrocchiali, poi, come Nardò, Soleto, Gallipoli, Maglie 
vi erano dei sacerdoti che pure avevano degli 
scriptoria. 
L'arcidiocesi di Otranto all'epoca dipendeva direttamente 
dal Patriarca di Costantinopoli, era sede metropolitana, avendo ottenuto nel X 
secolo questo privilegio da Niceforo II Foca. Quando i Normanni conquisteranno 
l'Italia Meridionale, Otranto rappresenterà l'ultima roccaforte della presenza 
della cultura bizantina in Occidente.
I monaci di Casole si dedicavano alla preghiera, allo 
studio e all'insegnamento. Erano organizzati in segmenti di interesse, a capo 
dei quali vi erano dei coordinatori. Vi erano così gli ieromonaci 
(monaci-sacerdoti), a cui spettava celebrare le funzioni; la custodia della 
chiesa e delle sue suppellettili era affidata al monaco ecclesiarca; la 
biblioteca dipendeva dal monaco bibliofilace, funzione importantissima, visto 
che la biblioteca era considerata il più significativo bene del cenobio. 
Giornalmente i monaci si dedicavano alla attività di copiatura dei codici, 
presieduta dal monaco protocalligrafo. Il cellerario sovraintendeva ai magazzini 
e alla mensa. L'igumeno, poi, rappresentava la funzione più alta nel convento. 
All'igumeno tutti i monaci dovevano obbedienza e rispetto. 
Il Sacro Monastero di 
San Giovanni Theristis in Calabria

Il Sacro Monastero di San Giovanni Theristis 
si trova in un territorio nel quale è fiorito il monachesimo bizantino attorno 
all'VIII-XI secolo, tempo durante il quale la Calabria rientrava 
ecclesiasticamente sotto la giurisdizione del
Patriarcato Ecumenico di 
Costantinopoli. 
Il primo Katholikon del monastero risale 
all'XI secolo. Esso, recentemente è stato restaurato e riedificato come era 
anticamente. Nel territorio monastico si trova anche la Grotta e la fonte 
santificata da san Giovanni Theristis (sec. X). 
Il monastero celebra la propria festa il 24 
febbraio, ricorrenza di san Giovanni Theristis. Tracce d'un preesistente luogo 
di culto sono riscontrabili presso l'attuale nartece (il vano in fondo alla 
navata della basilica). Il monastero fa parte degli insediamenti ascetici posti 
sulle pendici del Consolino e delle colline circostanti. Tali insediamenti erano 
abitati da diversi monaci così forniti di cultura, spiritualità e ascetismo, da 
far definire questa zona la 
Terrasanta del monachesimo greco - ortodosso in 
Calabria. 
Il Monastero di San Mauro 
di Gallipoli
Narra un'antica leggenda, giunta fino a noi, 
che San Mauro, giunto a Roma con alcuni compagni proveniente dall'Africa, subì 
il martirio nell'anno 284. I compagni, trafugatone il corpo, si imbarcarono per 
la loro terra d'origine, inseguiti, però, da una nave romana. Nei pressi di 
Gallipoli i fuggitivi, a causa della violenza del mare, furono spinti a riva e 
costretti ad abbandonare la nave. A breve distanza dalla costa, in un luogo 
elevato, scorsero una grotta ed ivi si rifugiarono, depositandovi anche il corpo 
del Santo. Nel frattempo sopraggiunsero i soldati romani e, scopertili, li 
uccisero senza pietà. I pagani cercarono anche di bruciare il corpo del martire 
Mauro, ma invano, e quindi decisero di imbarcarsi nuovamente per fare ritorno a 
Roma. Gli abitanti dei dintorni, rinvenute le spoglie del Santo, vollero 
costruirvi accanto una chiesetta dedicata a lui e a due suoi compagni e, da 
allora, ne celebrarono la ricorrenza il primo maggio di ogni anno. 

La 
storia
Più probabilmente, l'origine 
della chiesa e del monastero di S. Mauro sono da inquadrare nell'imponente 
grecizzazione di Terra d'Otranto ad opera dei monaci basiliani a partire dai 
secoli VIII-IX. La scelta del luogo dell'insediamento è certamente connessa con 
la presenza delle vicine grotte, che, come è noto, erano predilette dai monaci. 
Quel posto era chiamato anticamente 
Orthólithon, cioè "rupe dritta", nome 
che derivava con ogni probabilità dalla rupe a strapiombo sul mare, ora nota 
come la "Montagna spaccata". In un altro documento basiliano il luogo ove 
sorgeva il monastero è indicato col termine 
Anaforários, cioè "luogo in 
elevato". 

E' possibile solo adombrare la ricchezza e 
l'autorità di cui godette San Mauro, attraverso le pochissime testimonianze 
sopravvissute all'ingiuria del tempo. Fra queste, le 9 pergamene dapprima 
rinvenute e poi perdute, le quali, in un arco temporale dal 1149 al 1331, 
attestavano donazioni di terreni, case e persone al rispettivo preposto del 
monastero. Da quest'ultimo, poi, dipendevano diverse piccole comunità basiliane 
come quelle di S. Maria de Civo (Melissano), S. Maria della Lizza (Alezio), S. 
Mauro (Galatina), S. Anastasia (Matino), S. Maria del Casale (Ugento) e diverse 
altre. Il monastero vantava, poi, un'estesissima proprietà fondiaria che 
comprendeva anche la Foresta di S. Agata, presso S. Simone, il Feudo di Coppe e 
Curlo, tra Sannicola e Galatone, e quello di S. Mauro. A questo proposito va 
detto che, solo presso l'abbazia, la proprietà dei monaci si estendeva per circa 
due miglia. Altre proprietà del monastero erano in Casarano ed Ugento, e chissà 
di quante si è persa la memoria. Da questi elementi, si può senz'altro affermare 
che il monastero di S. Mauro svolse ad ovest quella funzione di "capofila" degli 
insediamenti basiliani che ebbe ad est il monastero di S. Nicola di Casole; per 
un tempo imprecisato fu il fulcro della vita e dell'organizzazione religiosa 
allorquando Gallipoli venne abbandonata dopo le devastazioni degli Angioini. 
Quando, poi, iniziò la rapidissima decadenza dei monaci, fu l'ultima roccaforte 
basiliana a cedere, insieme a S. Salvatore. 
In origine, l'insediamento era costituito dal 
monastero, di ignota grandezza, da altri edifici, dalla chiesetta, 
sopravvissuta, e da una o più grotte adibite a scopo di culto. Proprio il 
monastero, che sorgeva sulla sommità della serra, alle spalle della chiesa, 
dovette essere il primo a subire l'offesa del tempo e degli uomini. Infatti già 
nel 1567 il Vescovo di Gallipoli, recatosi in visita sul posto, registrò la 
presenza solo delle macerie del monastero e di altri edifici non identificabili, 
dei quali rimanevano in piedi solo un paio di stanze. Rilevò anche la presenza 
della grotta, con due altari, nella quale si diceva che fosse stato trovato il 
corpo di S. Mauro. Già da allora si celebrava messa solo il primo maggio, "nel 
quale giorno accorre una grandissima quantità di gente sia dalla città di 
Gallipoli che dalle altre terre e luoghi vicini e si celebra [messa] e si tiene 
colà una grande festa", ricordo dello splendore passato dell'insediamento. La 
chiesa, in origine, aveva tre altari, rivolti ad oriente, come in tutte le 
chiese di rito greco, e presentava la distinzione tra bema e naos, evidenziata 
da un gradino oggi distrutto. Un tempo era interamente affrescata e alle volte 
erano appese le lampade ad olio tipiche della tradizione orientale.